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Concordo con un recensore...libro adatto per i fans di Garcia Marquez. Noioso e prolisso.
Leggere l'autobiografia di Márquez è stato percorrere, dall'origine al pieno sviluppo e maturazione, l'intero processo creativo che lo caratterizza come narratore di straordinario talento e quel suo scrivere "contorto ed etereo". Non conoscendo ancora nulla di lui, ma avendoci meditato molto, entrare in questo modo nel suo mondo - che consuma, distrugge e rigenera incessantemente - è stato come procurarmi un passepartout per accedere alle sue opere da una posizione quasi privilegiata perché, quando li incontrerò e li riconoscerò - i suoi luoghi e suoi tipi umani -, saprò esattamente dove li ha pescati: lui in persona me l'ha raccontato. Le autobiografie sono un'arma a doppio taglio. Mi ricordo che leggendo quella di Oliver Sacks, in cui parlava molto delle sue opere, mi passò la voglia di leggerle; così anche con Schnitzler per la sua superficialità. Murakami, poi, l'ho proprio defenestrato dopo quella schifezza de 'La mia vita di scrittore'. Ma con Márquez, beh... è tutta un'altra musica, altri profumi, suggestioni e incontri: magnifico! "Accendevo una sigaretta col mozzicone dell'altra, aspiravo il fumo con l'ansia di vita con cui gli asmatici bevono l'aria, e i tre pacchetti che consumavo in un giorno mi si notavano nelle unghie e in una tosse da cagnaccio che turbò la mia gioventù. Insomma, ero timido e triste, da buon caraibico, e così geloso della mia intimità che a qualsiasi domanda in merito rispondevo con una battuta retorica. Credevo che la mia mala sorte fosse congenita e senza rimedio, soprattutto con le donne e il denaro, ma non me ne importava, perché pensavo di non aver bisogno della buona sorte per scrivere bene. Non mi interessavano la gloria, né i soldi, né la vecchiaia in quanto ero sicuro che sarei morto per strada molto giovane." Gabriel García Márquez è morto il 17 aprile 2014 a 87 anni.
In questo suo libro di memorie Marquez riempie i suoi ricordi di poesia. Potremmo definirlo ''realismo poetico'' che amo molto di più di quello che è stato definito ''realismo magico'' E' un gradino al di sotto della magia e mi sembra più credibile. Faccio forse io parte di quegli adulti che non sono affascinati dai tappeti volanti delle Mille e Una Notte come direbbe Marquez? non so, non credo. o forse per apprezzare meglio la sua opera bisogna aver letto le sue memorie.
Recensioni
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"La storia di quegli amori contrastati fu un'altra delle meraviglie della mia gioventù. A forza di ascoltarla raccontata dai miei genitori, insieme o separatamente, me la ritrovai quasi completa quando scrissi Foglie morte, il mio primo libro, a ventisette anni, ma ero pure consapevole che dovevo imparare molto sull'arte di scrivere romanzi."
Attesissima dai lettori di tutto il mondo, capace di creare lunghe file di persone in attesa, per tutta la notte precedente l'uscita, davanti alle librerie spagnole o dell'America Latina, è arrivata anche in Italia l'autobiografia di García Márquez, Vivere per raccontarla: "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla", dichiara l'autore in apertura del libro per guidare i lettori a cogliere questo aspetto, spesso dimenticato, della sua, come di tutte, le opere di questo genere.
Le prime pagine già ci propongono alcuni dati interessanti: la madre e il forte rapporto con il figlio, le divergenze col padre sulle scelte di studio e di lavoro, l'immagine della scritta Macondo, nome della piantagione di banane che nell'infanzia lo aveva affascinato e luogo dell'immaginario, diventato tale anche per i milioni di persone che hanno letto quel capolavoro che è Cent'anni di solitudine.
Ma è la storia d'amore tra il padre e la madre, contrastato dalla ricca famiglia materna a introdurci pienamente nella narrazione.
La casa dell'infanzia e la sua perdita, i ricordi dei magici natali pieni di illusioni, le figure che la animavano, che l'affetto del ricordo sa rendere vive e Reali. Quindi le difficoltà e la perdita dei capitali familiari, i cinque trasferimenti (dell'intera famiglia e della farmacia paterna) da una città all'altra, i sei figli in nove anni di matrimonio. Quando ricorda le nascite delle sorelle l'autore sa ben riprodurre i sentimenti contraddittori di un bimbo davanti ad un evento per lui piuttosto destabilizzante e nello stesso tempo sa guardare con gli occhi affettuosi del vecchio il bambino che era.
Le liti dei genitori, drammatiche e incomprensibili per un figlio piccolo, vengono ora interpretate come espressioni sia del sentimento potente che li univa, sia dei caratteri di entrambi così forti e diversi. Ma non fu l'irascibilità paterna e la paura che sapeva suscitare nei più piccoli a creare un clima intimorito nella famiglia perché la solarità materna e la sua positività straordinaria diventarono assolutamente dominanti. Ma la vera tragedia esplose invece quando Gabriel dichiarò ufficialmente di voler fare lo scrittore: per il padre sarebbe stata una scelta che meritava il ripudio definitivo, per la madre un dolore attutito dalla promessa filiale di finire almeno il liceo (in cambio avrebbe lei cercato di mediare con il severo marito). Il giovane inizia qualche tempo dopo a scrivere per i giornali e a guadagnare con quei pezzi i primi soldi: proprio pochi davvero per un ragazzo che voleva anche divertirsi. Sono pagine cariche di tenerezza per quel giovane che ama disperatamente scrivere, che ha pochi soldi, che passa dai bordelli alle redazioni dei giornali o delle case editrici con lo stesso incosciente entusiasmo.
Leggere questa autobiografia è anche uno strumento in più per capire i grandi romanzi del premio Nobel colombiano: in fondo tutto (personaggi, luoghi, sogni e fantasie delle sue opere) era già scritto nella sua stessa vita, doveva solo raccontarlo.
A cura di Wuz.it
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