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Anno edizione: 2018
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Vacue e volatili vite in megapixel, firmato Aloia
Un romanzo a suo modo distopico che ci immerge nell’intramondo della realtà virtuale, quasi senza volerlo, fuori tempo massimo, quando cose come Second life con i suoi avatar e applicativi è ormai sul viale del tramonto, soppiantata su scala globale e in modo ben più pervasivo dal dominio incontrastato dei social network. Sono proprio le distorsioni di questi mostri faustiani che una volta evocati sfuggono di mano ai loro creatori, a essere i protagonisti del romanzo di Ernesto Aloia, La vita riflessa (297 pagine, 18 euro), edito da Bompiani, che per certi versi può essere considerato l’equivalente italiano de Il Cerchio di Dave Eggers.
Come suggerisce il titolo scelto da Aloia il protagonista principale è proprio il social network ad “azione profonda” denominato “twins” creato da Marco, la voce narrante, un banchiere amante di Rimbaud, significativamente citato nell’epigrafe di apertura. “A ogni essere mi sembravano dovute diverse altre vite”, schiavo delle benzodiazepine e coinvolto a sua volta e suo malgrado quale ruota di un ingranaggio ben più grande nel disastro dell’ultima crisi economica globale. Insieme al suo amico d’infanzia Greg, con il quale molti anni prima avevano creduto di aver ucciso una ragazza, darà vita a questo strano mostro. I due si incontreranno infatti di nuovo dopo molti anni, da adulti, quando Marco lo riconoscerà vedendolo in televisione, altro feticcio della nostra epoca “riflessa”, a seguito del tracollo finanziario del 2008 della banca di affari Lehman Brothers. L’economia mondiale va a rotoli, la finanza pure, questo si riverbera inevitabilmente sulle private vite dei protagonisti che obbedendo al citato dogma “grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente” cercano di rinsaldare il loro sodalizio sulla scia della stessa volatilità delle loro fino ad allora occupazioni, quando fatalmente perderanno il posto di lavoro a seguito dell’esplosione di quella bolla che in qualche modo anche loro avevano alimentato e quando cercheranno, soprattutto grazie all’estro e genialità di Greg, di indirizzare le proprie inclinazioni in una nuova impresa per certi versi speculare alla loro precedente attività, in un’epoca di carta straccia quale si è rivelata quella della finanza speculativa, o di byte che sia. Questo si concretizza nella creazione di un social network tramite il quale loro, gli untori e creatori, immettendo su scala globale e vendendo il brevetto a una multinazionale dei media in crisi lo strumento, permettono agli utenti e fruitori di questa realtà aumentata qualcosa di ben più profondo di quello che comunemente possano mai aver sognato di esperire, cioè una vera e propria identità gemella, qualcosa che va oltre lo stesso utente, oltre la sua stessa esistenza reale, anche oltre la morte, letteralmente.
C’è molto nel romanzo di Aloia del nostro mondo attuale, di quello del passato più prossimo, del presente e del futuribile. La narrazione rimane ancorata alla nostra realtà, quasi attualità che troviamo riflessa nelle pagine che tuttavia virano verso un canone distopico, nello spostamento continuo dell’orizzonte del reale, un mondo dalle fosche tinte per gli effetti devastanti che il lancio del social network genererà quali un’epidemia di suicidi.
Sono proprio strumenti come “twins” che permettono di crearsi una diversa identità, più accattivante, libera e dinamica, in realtà solo un riflesso distorto: l’immagine è l’identità plasmata dagli altri e noi che a nostra volta la plasmiamo a nostro piacimento rimanendo come “gusci vuoti”, abusata etichetta affibbiata ai cosiddetti “millennials” da una certa retorica conservatrice alle nuove generazioni che ama considerarli in questo modo per poterli dominare e tenere sotto controllo. Queste sono solo alcune delle suggestioni del romanzo che si sviluppa in torbide trame che si accavallano in modo alcune volte vorticoso ma comunque tenendosi fra loro e mantenendo alto il ritmo della lettura e la giusta tensione, fra personaggi sportivi da copertina, scrittori pornografi in cerca di fama, magnati legati a gruppi terroristici che vengono coinvolti a vario titolo nell’attività creata dai due amici d’ infanzia.
Un mondo prossimo o forse più che presente dove l’efficientismo del turbo-capitalismo si ostina alla ricerca dell’ultimo valore aggiunto possibile che sembra poter essere rappresentato dal rilancio di dati e informazioni individuali stipati in enormi data center assemblati al fine dello sviluppo di campagne di marketing, (la filiale europea della multinazionale sviluppatrice del social network situata significativamente sulla cosiddetta “Isola dei morti”), azioni che vanno a captare le più private informazioni e attitudini per rilanciarle ai circuiti neuronali della trasmissione dati dei social media manager, uffici stampa, società di consulenza e di marketing, quello strano ibrido che è la Kleos, l’azienda creata dal nulla da Marco, i suoi ex colleghi e Greg.
È un mondo ribaltato, quello del romanzo di Aloia, dove come confessa in un dialogo con Marco il suo ex direttore di banca: “prima eri tu che cambiavi a una velocità pazzesca e il mondo restava lo stesso. Poi un giorno ti accorgi che tu sei sempre lo stesso ed è il mondo che si trasforma. Non ci capisci più niente, non hai più nemmeno voglia di capirci qualcosa. Diventi inutile e crepi. Sei morto e continui a respirare. Sei vecchio”
Lo smisurato mostro senza volto sembra essere il deus ex machina di questo mondo del quale il rumore bianco digitale ne è la colonna sonora, una sorta di entità pensante che ricorda il pianeta Solaris di tarkovskiana memoria, vero elemento pervasivo della vita delle nuove generazioni con le sue vacue promesse di felicità, cose drogatissime tali da portare a qualche pericolosa disfunzione sensoriale, qualcosa di simile a quello che fanno i citati hirikomori, quegli adolescenti giapponesi che si chiudono per mesi nella loro stanza senza alcun contatto con l’esterno. La bolla creata da “twins” sta per esplodere e questo è quello che Angela, la moglie di Marco, rimprovera al marito, allontanandosi da lui, quando di quel Faust viene perduto il controllo e si scatena l’epidemia di suicidi con gli avatar o profili che siano che continuano a vivere di una vita riflessa indistinguibile da quella reale.
Quasi come per contrappasso, alla vacuità e volatilità di queste vite in megapixel e determinate in larga parte dalle scaturigini dell’ultima grande crisi finanziaria mondiale, l’unica solidità rimasta sembra essere data significativamente dai negozi di compro oro, una delle poche attività superstiti e dove l’unica forza contrastante è rappresentata proprio dalla moglie del protagonista Marco, un’umanista, forse non a caso professoressa di glottologia, abituata a lavorare con le parole e dalla loro figlia Serena che sta scrivendo a seguito di faticose ricerche un libro che prende spunto dalla vita del nonno reduce dei campi di sterminio.
Quasi un monito questa vita riflessa, contro l’illusionismo mediatico, di ogni tipo esso sia e da qualsiasi parte esso provenga.
Il finale, che non promette niente di buono non è consolatorio o catartico e lascia aperti inquietanti interrogativi sullo stesso nostro quotidiano, forse quello che già viviamo nei nostri circuiti inquinati.
Recensione di Simone Bachechi
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