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Vita di Hegel. Gli anni eroici della filosofia - Horst Althaus - copertina
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Vita di Hegel. Gli anni eroici della filosofia - Horst Althaus - copertina

Dettagli

1993
19 novembre 1993
564 p., Rilegato
9788842043379

Voce della critica


recensione di Sichirollo, L., L'Indice 1994, n. 7

Una delle nostre più nobili case editrici, e certo la più hegeliana, nel paese più hegeliano del mondo, dove non sarebbe stato difficile trovare un discreto numero di ottimi studiosi, e almeno tre-quattro in assoluto eccellenti, capaci di scrivere quella nuova moderna ampia biografia di Hegel, vita e opere, che in effetti manca (non si è fatto più nulla di paragonabile alla "Vita di Hegel" di Karl Rosenkranz, 1844, Vallecchi, 1966, poi Oscar-Studio, che rimane fondamentale, esemplare, anche se "di scuola" e un po' monumentale)- bene, Laterza ci presenta la traduzione di una recentissime biografia di Hegel che avrebbe dovuto destare qualche sospetto a cominciare dal suo titolo: Hegel e (sic! nell'originale) gli anni eroici (?!) della filosofia: si, come Bismarck il cancelliere di ferro, Elisabetta (la prima) la vergine regina... Mah!
Leggo, e il testo si legge bene, grazie anche alla traduzione. Leggo e non riesco a trovare nulla che un modestissimo lettore di Hegel come lo scrivente non sappia già. Comincio a pensare che si tratti di opera di alta divulgazione per un pubblico generico, ma allora mi chiedo quale sia il pubblico generico che corre a comprarsi una vita di Hegel per sapere qualcosa degli anni eroici della filosofia (poi magari scopriremo che i Laterza hanno visto giusto e il libro diventa un best-seller). Continuo a leggere, ma, lo confesso, sempre più a fatica: il racconto si rivela ben presto in rosa e in nero. In rosa per il tono dolciastro, di compatimento per il grand'uomo, che è poi come tutti gli altri, con le sue piccinerie e debolezze: gli piace il vino, e lo champagne più di quello renano (niente di più sano e ragionevole); gli piace Rossini e l'operetta più di Mozart (uno scandalo); frequenta poco i musei e a Praga va a spasso (altro scandalo; ma Hegel fa la sola cosa intelligente per capire una città e la sua gente), si lamenta sempre per la mancanza di denaro (vorrei che Althaus mi dicesse se ha mai trovato un insegnante di ogni ordine e grado che fino agli anni cinquanta e sessanta del nostro secolo non abbia dovuto lamentarsi della propria situazione economica) ecc.
Il nero dipende dall'atteggiamento sempre ostile per non dire malizioso del biografo, e dall'onnipresente, ossessionante figura del filosofo dello stato prussiano che all'autore riesce di cogliere giù nel ragazzetto del ginnasio: Hegel è scolaro modello, sta volentieri in compagnia degli insegnanti, legge Shakespeare e una storia universale - voilà, "L'autorità riconosciuta in forza della sua legittimità" (p. 10); non parliamo di Berlino dopo il 1820: il filosofo dello stato prussiano deve essere uscito di testa, non si capisce da che parte stia, amico com'è di giovani allievi, teste calde, "liberali" sospettati dall'amministrazione: se non fa il doppio gioco, forse il filosofo si prepara una via d'uscita (pp. 272-76).
D'altra parte è un pover'uomo che ha sempre capito poco dei suoi tempi. A Heidelberg la famiglia Hegel alloggia presso un agricoltore, Hegel sta alla finestra e osserva le vacche, i cavalli, i raccolti (lo notarono anche gli studenti: dicevano, pare, che Herr Professor non studiava abbastanza); il Nostro, invece, ci fa sapere che "quell'immagine ci consente l'immediata visione delle basi agrario-precapitalistiche dì suo pensiero. È un funzionario pagato in parte in natura... e osserva con soddisfazione che l'aumento dei prezzi fa anche aumentare le sue entrate" (p. 240).
E sappiamo già (p. 33) che, avendo studiato 'Steuart', cioè import-export, dogane e proprietà, Hegel ha una visione arcaica dell'economia superata dalla dottrina del libero scambio! Ma bravo, proprio lui; Hegel, il solo filosofo prima di Marx (con la sola eccezione di Aristotele) che abbia studiato economia e accolto la rivoluzione industriale nei suoi principi e meccanismi all'interno di un sistema filosofico.
A parte queste perle, che non sono poi numerose, a parte la presentazione francamente "scolastica" delle opere del filosofo, per quanto ne so gli elementi di fatto sono sempre corretti. È il rosa-nero di cui dicevo che offende. E quanto ad "fatti" potevamo aspettarci di più su tanti aspetti di questa vita operosa noti ma non del tutto, ovviamente: i rapporti con i giacobini da giovane, il figlio naturale (qui Althaus inzuppa il pane); il sovrintendente a tutte le scuole di Norimberga, che svolse un notevole lavoro di riorganizzazione e rinnovamento (Althaus non ne dice nulla, ma ritiene invece, basandosi su una relazione ufficiale scritta dal filosofo quando era rettore del ginnasio, che egli intendesse diminuire le ore di filosofia, per liberarsi da un peso: p. 210); Berlino infine, e qui tra università, accademia, riviste e scolari c'è ancora molto da esplorare oltre alla posizione del filosofo dello stato prussiano.
Comunque queste severe critiche non intaccano il rispetto che merita l'autore, archivista dell'Università di Colonia. Meno rispetto merita invece la casa editrice Laterza: primo, per aver fatto il torto all'autore, ai lettori e agli studiosi, di sopprimere le circa 20 pagine di bibliografia, buona e aggiornata; secondo, per la pervicacia dimostrata nel non voler tradurre la grande e insostituibile monografia dedicata a "Hegel e il suo tempo" (1857, dopo Rosenkranz contro Rosenkranz) da Rudolf Haym: uno scrittore e un politico di razza, liberalnazionale, antihegeliano, ma per ragioni filosofiche e politiche che affondano le radici nella storia della Germania e dell'Europa, e opera eccellente, di vasto respiro come del resto "La scuola romantica" (Ricciardi, 1965). Evidentemente da Laterza sono stati corrivi nel seguire il consiglio di George Steiner che recensì con favore il libro nel "Times Literary Supplement" (8 maggio 1993 ) e che mostra di avere le stesse idiosincrasie del nostro Althaus: il quale però, gli va riconosciuto, non è caduto nella trappola del presunto antisemitismo di Hegel, che invece a Steiner appare del tutto evidente. Poveri noi!

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