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La letteratura serba "moderna" inizia con questo volume, tradotto e corredato da un'ampia introduzione di Maria Rita Leto che inquadra gli avvenimenti storico-culturali del periodo in cui Dositej studiava, viaggiava e scopriva l'Europa settecentesca, "illuminata" dalla "luce" dell'istruzione e della ragione. Un apparato curato e preciso di note spiega molti passi e riferimenti del testo, altrimenti incomprensibili al lettore odierno. Fa parte del volume in tutte le sue edizioni la Lettera a Haralampije (qui in appendice), stampata nel 1783 a Lipsia. Indirizzata al parocco della chiesa ortodossa di Trieste, Haralampije Mamula, doveva contribuire alla raccolta dei fondi per la stampa. Essa contiene alcune tesi tuttora attualissime: sulla diffusione della lingua volgare secondo il modello europeo, invece dell'incomprensibile slavo ecclesiastico; sull'unità linguistica degli slavi meridionali: "parlano un'unica stessa lingua"; sull'importanza delle riforme della "luminosa corona" di Giuseppe II e della letteratura nell'istruzione dei giovani. Vita e avventure è un'autobiografia, un libro di memorie, un Bildungsroman che metaforicamente segue la trasformazione dell'autore e della cultura serba dalle radici bizantine verso i modelli europei. Nella prima parte la narrazione descrittiva (riflessioni moraleggianti, consigli ai genitori, ai giovani, al lettore) si sviluppa attraverso i ricordi dell'infanzia (la famiglia, nel Banato di Temesvàr) e della giovinezza (l'esperienza monastica, la realtà con le tradizioni medievali, caratterizzata dall'ignoranza), rievocando, infine, la fuga verso la libertà. La seconda parte potrebbe essere definita un romanzo epistolare (dodici lettere, 1788-89), appartenente al genere odeporico. Al centro della narrazione, scorrevole, e con una dose di humour sorprendente per un uomo di quel tempo, i viaggi avventurosi, pieni di difficoltà oggi inimaginabili, attraverso i Balcani, dalla Vojvodina fino alla Dalmazia, sul Monte Athos, in Albania, fino a Costantinopoli o le città italiane (Trieste, Venezia, Bologna, Firenze, Pisa, Lucca, Livorno, Messina), fino a Parigi e Londra. Importanti sono anche i soggiorni a Vienna, per Dositej "sei anni proficui e felici", o alle università di Lipsia e Halle dove, per seguire i corsi del "più famoso" filosofo Eberhardt, abbandonò la tonaca nera e indossò i "peccaminosi abiti secolari". Trasformatosi nell'aspetto, Dositej rimase quello che nel suo profondo era: benevolo, sorridente e sereno, però al servizio non più di un Dio, bensì dell'arretrato popolo serbo, della sua istruzione, e questa Vita, un contributo "utile" e "dilettevole", doveva avvicinarlo all'Europa "illuminata". Ljiljana Banjanin
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