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Il volume ricostruisce il percorso stilistico e la vicenda critica di questo scultore, perugino di nascita ma attivo a Firenze alla corte di Cosimo I. Formatosi sull’esempio di Michelangelo e aggiornato sulle regole dell’Accademia del Disegno - della quale fu console -, Vincenzo Danti viene ‘riscoperto’ come uno dei più originali interpreti del Buonarroti, il cui messaggio, filtrato attraverso uno spirito teorico e intellettuale, è evidente in gran parte delle sue opere, esaminate una per una in un accurato catalogo.
scheda di Rossi, M., L'Indice 1997, n. 3
Caso insolito per gli studi, non solo d'ambito italiano, sulla scultura cinquecentesca, a distanza di soli sette anni dalla monografia di Francesco Santi (Nuova Alfa, 1989) eccone un'altra sullo stesso artista. Non che il personaggio e l'opera non meritino tanto interesse, semmai desta qualche perplessità l'adozione di un taglio sostanzialmente identico: tre capitoli, più o meno corrispondenti a quello sulla "vicenda critica" del libro di Santi, sono infatti dedicati alla "vita", "i momenti dello stile", la "critica". Nell'ultimo è interessante la menzione della fortuna letteraria che, tra Otto e Novecento, riguardò la statua bronzea di "Giulio III" a Perugia, descritta e lodata tanto da Hawthorne nel "Fauno di marmo" che da Henry James in "Ore italiane". Seguono un regesto, accresciuto di nuovi documenti scovati nell'Archivio di Stato di Perugia, e un catalogo ben ragionato ma troppo generoso nell'accordare credito alle attribuzioni formulate a suo tempo da David Summers (autore di una tesi di dottorato su Danti, nel 1969) e giustamente rifiutate o accettate con molte riserve da Santi: poco presentabile la statua giacente in terracotta del giurista Guglielmo Pontano, in San Domenico di Perugia, e non qualificato il putto in marmo di Villa Rondinelli-Vitelli, a Fiesole.Inoltre, nonostante le recenti rettifiche di Charles Avery, per altro note all'autore, e direi l'evidenza, l'ovale in marmo con la Flagellazione di Kansas City continua a essere ascritto al corpus di Danti, invece che a Pierino da Vinci, alla scuola del quale lo aveva assegnato Ulrich Middeldorf. Non sarebbe dispiaciuta un'analisi che tenesse in maggior conto il Danti trattatista (anche se non manca un collegamento intelligente almeno in relazione o gruppo paradigmatico dell'"Onore che vince l'Inganno" del Bargello) e tentasse di dar ragione della clamorosa diversità di registri tra le "perfette proporzioni", levigate e compatte, della statuaria e i rilievi monumentali, dove l'effetto ricercato di non finito tende a conservare nel bronzo il carattere di un bozzetto.
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