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Anno edizione: 2014
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Osservatore formidabile, Patrick Modiano costruisce i suoi romanzi sulla sua grande capacità di restituire le sensazioni evocate da luoghi e personaggi. La memoria vince sull'azione, e produce un'atmosfera soffusa, lenta, malinconica, in cui la storia si svolge su diversi piani temporali. Una lettura che dà grande piacere.
Per aprezzare Villa Triste e tutta l'opera di quest'autore in generale, bisogna avere nelle corde quel senso di languida malinconia che le pervade, quel desiderio di trovare tasselli mancanti che non verranno trovati, l'azione non c'è e neanche un classico logico susseguirsi di avvenimenti finalizzati. Bisogna guardare con indulgenza alla pigrizia, all'ozio, all'inattività. Credo che tutto il senso del libro si condensi nelle righe che descrivono le ore trascorse dal protagonista e Yvonne a muoversi con estrema lentezza nel pavimento di Villa Triste, nel tentativo d'immobilizzare il tempo e di non pagare le conseguenze della realtà, molto diversa da quella che i due amanti sognano e si raccontano, un misto di falsità e fantasie.
Un Modiano giovane, appena diverso (come, del resto, era giusto che fosse), ma con i caratteristici tratti che caratterizzeranno la sua scrittura della maturità. Scrittura fatta di attese e silenzi, personaggi fragili e sempre in bilico, incontri strani, arrivi e partenze improvvise e poco spiegabili, sospensioni. Questo libro, molto retrò, mi ha fatto pensare a questa cosa, in particolare: pubblicato nella metà degli anni 70, come poteva raccogliere lettori, in un periodo affamato di cambiamenti radicali, azione e rivoluzione, nuovi orizzonti, esistenzialismo, sì, ma di matrice 'Sartriana'? Facendo un parallelo con la musica, la Buona Novella di DeAndrè, molto coraggiosa ed incompresa, proprio a causa di quello a cui ci si rivolgeva in quegli anni. Questo per dire che i grandi, come Modiano o DeAndrè vedono la strada maestra dove noi mortali vediamo dei semplici vicoli. Dimenticavo: il libro, dopo un inizio di ambientamento, mi è piaciuto molto.
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