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Film del 1953 in bianco e nero, in lingua originale e con sottotitoli in italiano. Ancora una volta questo grande regista descrive il rapporto genitori-figli nel Giappone del dopoguerra. Quando ero bambino mi piaceva tanto ascoltare il motivetto di un brano di Domenico Modugno, “Il vecchietto (dove lo metto?)” (1981), ma non ero ancora in grado di comprenderne a pieno il suo tragico significato. Poi, con gli anni, iniziai a capire che ci fu un tempo in cui gli anziani continuavano ad occupare un posto importante all’interno delle famiglie: essi erano amati ed onorati, non solo perché genitori, nonni o bisnonni, ma anche in quanto depositari di un prezioso “sapere” che solo loro erano in grado di tramandare: l’esperienza. La post-modernità ha spazzato via il loro “sapere”: ormai tutto cambia rapidamente e la conoscenza che ieri aveva un valore, domani non ce l’ha più. Così, da depositari di un bene inestimabile, gli anziani si sono ritrovati “peso” per la nostra società, la quale li considera alla stregua di una vecchia console “Atari”. Ed è solo per quel barlume di retaggio cristiano, ancora (per poco?) superstite, se non si è giunti al punto di riadottare l’antica usanza giapponese dell’ubasute, magari in versione aggiornata, ammantato dall’ipocrita velo di una “dolce morte”. Tornando al film di Ozu, su tutte si staglia la figura stupenda della nuora vedova: paradossalmente, verrà da lei, parente acquisita, la vera manifestazione dell’amore e della riconoscenza filiale. Consiglio la visione di questa pellicola in sequenza con altre due: “Stanno tutti bene” (1990) di Giuseppe Tornatore e il suo rifacimento statunitense del 2009, del regista Kirk Jones. Capirete così la differenza che passa tra un capolavoro, un ottimo film e un brutto film.
Il cinema di Ozu è potenzialmente devastante. E "Viaggio a Tokyo" potrebbe esserne l’arma di distruzione di massa: il senso della morte incombente, le aspettative deluse dei vecchi e il cinico e opportunistico egoismo dei giovani, la trasformazione mostruosa del tessuto urbano che va di pari passo al cambiamento antropologico. Resta solo la forma, ma ormai è come svuotata, slegata dalla carne e dalla concretezza delle cose. Shige che chiede gli abiti della madre subito dopo il funerale e l’indifferenza agghiacciante di Koichi, Keizo che corre alla sua partita di baseball. Il tempo delle lacrime dura un istante. E tutto appare in caduta libera. “La vita è deludente”, sentenzia la cara e dolce Kyoko. “Sì”, le fa eco la gentile Noriko, con un sorriso che sembra la sentenza di una condanna a morte. C’è motivo di disperarsi. Eppure Ozu resta imperturbabile. Perché se c’è qualcosa che manca nei suoi film, è la tragedia. Il dramma si annulla nella consapevolezza di una verità più profonda, per cui ogni cambiamento non produce frattura, non è una crisi, ma un semplice istante nel movimento indifferente dell’eterno. Nonostante il tempo che passa, nonostante la morte e il dolore, la vita continua indisturbata. Ogni rumore rompe il silenzio e torna nel silenzio, ogni attraversamento, ogni passaggio riempie il vuoto e lascia il vuoto. Le sezioni del moto esistono, ma non rimangono, sfumano nella complessa armonia del movimento. È per questo che Ozu contiene tutto, il germe di ogni cosa che verrà, come dicevamo, dalla rabbia più lacerante alla calma della contemplazione. Il suo è un cinema che sembra conservatore, eppur possiede la gioia della rivoluzione che distrugge e reinventa i codici del linguaggio. È un cinema astratto, eppure di una commozione irraggiungibile, tutto di sentimento, libertà, cuore e gentilezza. E ci tocca, proprio perché ci guarda in ogni istante, ci chiama in campo.
Disse il regista Wim Wenders, quando gli chiesero cosa fosse per lui il paradiso: “La cosa più simile al paradiso che abbia mai incontrato è il cinema di Ozu” e non penso bisogni aggiungere altro. Film imprescindibile per qualsiasi appassionato di cinema.
Recensioni
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Una storia semplice che diviene una parabola senza tempo sulle stagioni della vita e sulla generosità d'animo: il capolavoro di Ozu
Trama
L'incomunicabilità tra genitori e figli è la base di questo film del maestro giapponese. Due vecchi fanno un viaggio a Tokyo per vedere i propri figli. Questi pensano bene di spedirli per il weekend in un posto per turisti. Durante il viaggio di ritorno la madre muore.
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