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Gli studenti della Khat e Imam (la via dell'Imam), seguaci di Khomeini, furono tra quelli che iniziarono le manifestazioni di protesta di fronte all'ambasciata americana a Teheran nel novembre del 1979. In poco meno di un anno la composita rivoluzione iraniana aveva matrici religiose, nazionaliste e progressiste cominciò a divorare i suoi i figli e a diventare di un colore unico, il verde dell'islam. Questo libro porta ora un contributo politologico e sociologico sul complesso mondo iraniano precedente e successivo alla rivoluzione. La lettura ci aiuta a comprendere da dove viene il presidente Ahmadinejad e il ruolo delle diverse fazioni di un regime che pure in passato tentò inutilmente di darsi un partito unico per meglio governare il paese.
L'ingegneria politica operata da Khomeini nella costituzione dello stato islamista è figlia di quella che potremmo definire una "riforma" all'interno dello sciismo. Khomeini riteneva che durante l'occultazione del dodicesimo imam (scomparso nell'874) la tutela degli affari e l'orientamento della comunità sciita fossero affidati al dotto giurista. Incarnando il velayat e faqih. Questo principio, che pose Khomeini stesso al vertice dello stato islamico iraniano, rompeva secoli di quietismo. Gli sciiti avevano sempre pensato che il dovere del clero fosse quello di aspettare la venuta del dodicesimo imam sotto forma di Mahdi e non quello di occuparsi di politica. Khomeini ruppe questa tradizione e nei suoi seminari degli anni sessanta a Najaf insegnava che Allah non poteva volere il prevalere del male sul bene, ben rappresentato da uno scià che governava in maniera "empia" il paese. Una grossa fetta del clero seguì l'"attivismo" di Khomeini, ma un grande ayatollah si oppose sempre a questa visione teologica: Al Sistani, massima autorità religiosa sciita attualmente in Iraq.
La forza della rivoluzione venne liberata dall'ottuso autoritarismo dello scià, che applicò malamente le riforme consigliate dall'amministrazione Kennedy. Le riforme economiche minacciavano infatti di intaccare il latifondo del clero e di rendere più laico il diritto civile del paese, aprendolo a uno sviluppo occidentale che l'avrebbe messo al riparo dal comunismo. Il governo dello scià riuscì però ad alienarsi sia i movimenti politici progressisti, che potevano vedere di buon occhio le riforme, sia, in particolare, i ceti che ne avrebbero fruito. Khomeini costruì invece alleanze e riuscì a isolare il regime. Se a questo aggiungiamo la forza dirompente del messaggio ideologico di un intellettuale come Ali Shariati (formatosi in Francia al fianco di Fanon, Sartre e Massignon), il quale riformulò le categorie dello sciismo utilizzando alcuni strumenti concettuali del marxismo, si comprende come mai molta intelligencija europea si innamorò della rivoluzione iraniana. L'antimperialismo e l'antagonismo degli oppressi contro gli oppressori (queste le categorie usate da Shariati) costituiscono ancora oggi l'ideologia della fazione radicale di Ahmadinejad, che è bene ricordarlo è formata da laici. Gli stessi Pasdaran (i guardiani della rivoluzione) sono militari laici che vanno ben distinti dal clero in turbante. I contrasti tra il clero e i radicali non vanno insomma trascurati, specie da chi intende promuovere un dialogo con le forze più pragmatiche del paese.
Paolo Di Motoli
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