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l libro rimanda a volgere lo sguardo verso l'intimo dell'animo umano, dove è raro sporgersi per paura di vedere se stessi. La lettura è interessante e intrigante e dispiega tormento interiore, fastidio, disagio, spasmodica e sistematica ricerca di capire, di comprendere, di contrastare, di sovrastare. È una sfida alla vita per darne un'identità sbiadita, dove la morte è sempre presente per rinsaldarne la potenza o per assodarne la precarietà. L'esito della ricerca è insito nello stesso studio: solo se si riesce a parlare con se stessi e, soprattutto, a sapersi ascoltare, la vita vale la pena di essere vissuta; in caso contrario, trascinare la propria vita non sembra essere la soluzione migliore. Il libro risponde all'esigenza di un confronto senza limiti che neanche la morte riesce ad evitare e che, anzi, si propone come merce di scambio per rivendicare il diritto a non volersi arrendere al non voler capire. Essere rigidi con se stessi comporta un impegno inumano, la cui coerenza combatte con la prassi che rimanda all'interrogativo se valga la pena di continuare a vivere. Solitudine e morte, contrasto e accondiscendenza, coscienza e scelta: il libro non permette indifferenza e induce non a capire perché sarebbe troppo difficile e neanche a rendersi conto delle sue dinamiche perché sarebbe impossibile. Il fine gioco letterario non ha via d'uscita: lasciarsi andare e non voler più capire. Nulla si presta ad anticipazioni narrative e l'intento è quello di abituare il lettore a fondere storie, racconti, riflessioni e anche pensieri più intimi. C'è un timido tentativo di oltrepassare la porta delle ossessioni ma rimane solo la traccia di un passaggio troppo debole anche quando sembra che cambi la prospettiva ma è solo un'illusione che lascia spazio solo all'immaginazione, a una sigaretta, alla notte, alle pagine di un libro che si legge tutto d'un fiato. Non c'è spazio per la mediazione. Renato Milazzo
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