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L’Abruzzo, per la sua ricca varietà di suoli e di climi, presenta significativi tratti di peculiarità nel panorama italiano, accentuati dalla scelta di fare del protezionismo ambientale una condizione del proprio sviluppo, in quanto «regione verde d’Europa». La storia del rapporto tra l’uomo e questo territorio non è dunque un semplice tassello della più generale storia agraria italiana, bensì il racconto di una diversità che è al contempo un arricchimento problematico. Proprio nel momento in cui l’agricoltura sembra ridotta a un ruolo marginale dai processi di industrializzazione e terziarizzazione dell’economia, ecco che il sistema agroforestale abruzzese riemerge prepotentemente come realtà di primo piano per la conservazione e la tutela degli elementi di naturalità indispensabili alla sopravvivenza del genere umano.La crescente divaricazione tra storia e natura dovuta a un lungo processo di agrarizzazione del territorio, la recente inversione di tendenza con la «scelta strategica» dei parchi e delle riserve, il Fucino con le sue eccezionali vicissitudini in ogni ambito dell’agire umano – dall’economia alla tecnica, dalla letteratura alla politica –, i meccanismi disgregativi di quel classico binomio monte/piano che con la transumanza e le migrazioni periodiche ha garantito per secoli un coerente sistema d’integrazione economica e sociale, la preponderante montuosità che ha reso il rapporto tra l’uomo e l’ambiente difficile e precario: ecco i motivi che fanno del mondo agricolo abruzzese un osservatorio se non unico certamente assai privilegiato. Emerge da queste pagine un quadro variegato delle trasformazioni profonde che hanno investito l’Abruzzo in età contemporanea, con la messa a fuoco di questioni cruciali per l’odierno dibattito storiografico e culturale.
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