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...cominciamo dalla prosa: una storia grottesca, ottimamente scritta con un ritmo assolutamente incalzante, che parla anche degli ebrei o dell' ebraismo, senza essere appesantita, come spesso accade negli autori ebraici, da citazione storiche o religiose...poi la traduzione: impeccabile...infine l'edizione: un libro che dà piacere anche solo tenendolo in mano...insomma un capolavoro imperdibile...
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Una ricezione delle più travagliate distingue da altri austriaci coevi Albert Drach (1902-1995), avvocato, appassionato di De Sade, autore di poesie drammi, romanzi, insignito nel 1988 del Bűchner, il massimo premio letterario tedesco. L'editore udinese Forum ha aperto la collana "OltrE", diretta da Annalisa Casentino, studiosa di ceco, e da Luigi Reitani, massimo esperto italiano di cose austriache, per presentare al pubblico italiano scrittori mitteleuropei del secondo Novecento e oltre. Magnifica iniziativa, a prescindere dall'uso di una carta così pesante da fare dei volumi una lettura da scrivania.
Scritto fra il '39 e il '40 durante l'esilio dell'autore in Francia, Il verbale fu pubblicato solo nel '64. È la vicenda che va dalla fine della prima guerra all'avvento del nazismo di Schmul Zwetschkenbaum (Susino), un piccolo, nullatenente ebreo chassid, che, accusato ingiustamente di aver rubato delle susine da un albero, resterà vita natural durante impigliato nelle maglie di una misera, dissennata burocrazia che lo sballotta fra prigione e manicomio. Vicenda tragicomica del totale isolamento di un individuo, di un paria, dentro un folle vorticare di fatterelli e minimi personaggi, narrata da un anonimo verbalista che si attiene scrupolosamente al vacuo e impettito stile delle pratiche giudiziarie, pieno di parentesi e di subordinate. Il tenersi, con inesorabile fedeltà, a questo linguaggio costituisce l'inconfondibile originalità del libro ed è anche il suo senso simbolico: il racconto ha già in sé la propria interpretazione. Un'anima semplice, che a differenza di Giobbe ha però dei dubbi sulla giustizia di Dio, è caduta dallo shtetl ebraico nei labirinti della storia. Ma è forse proprio questa studiata uniformità di linguaggio che a un certo punto produce un po' di monotonia, fa smarrire tanti particolari per strada, e le situazioni a venire, se certo non si prevedono, è però sempre prevedibile "come" ci verranno narrate.
Non cessa tuttavia la nostra ammirazione per l'arte di Drach, per i particolari che quadrano, per i profili umani sempre vivi e credibili, per la toccante umanità dello stesso Zwetschkenbaum: siamo nel cuore della grande tradizione mitteleuropea. E vale la pena di arrivare alla fine, dove l'anonimo verbalista si svela e per bocca sua e del magnate Grzezinsky si dispiegano, tranquilli e perciò truci, i motivi dell'odio anti-ebraico. Indispensabili, chiarissimi sono gli orientamenti critici forniti da Magris e di Reitani. Il lungo saggio conclusivo di Reitani è ricco di riferimenti: alla tradizione ebraica della Haggadah, al Giobbe di Joseph Roth, ai Racconti dei chassidim di Martin Buber, alla commedia popolare viennese (di cui Drach certo risente) e al Buon soldato Schwejk di Jaroslav Haek. Reitani ricorda anche, assai utilmente, che le origini del romanzo picaresco qual è Il verbale sono legate alla cacciatadegli ebrei dalla Spagna: la figura del picaro, l'escluso che vede lucidamente il mondo dal basso, nasce difatti dalla "lacerazione di una comunità sociale". In quanto romanzo sulla "condizione ebraica nella modernità", divisa tra la fedeltà alle origini e un'assimilazione che significa "perdita dell'autenticità", Il verbale è una testimonianza preziosa e una significativa acquisizione culturale.
Anna Maria Carpi
Scritto durante gli anni dell'emigrazione in Francia, ma pubblicato solo nel 1964, il volume è il primo grande romanzo di Albert Drach. Sorpreso a vagabondare sotto un susino, l'ebreo chassid Schmul Leib Zwetschkenbaum, che di quell'albero porta il nome, viene accusato di aver rubato dalla pianta alcuni frutti e finisce nella macchina impersonale della giustizia austriaca durante e dopo la prima guerra mondiale, passando per carceri, manicomi e altri inferni della modernità. Come nella più grande letteratura ebraica, la fuga dallo shtetl e l'ingresso nella storia' coincidono con una minaccia dell'individuo, esposto ai rischi di una corruzione della sua integrità morale e a un annientamento da parte delle istituzioni sociali.
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