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Il volume è la prima monografia in assoluto dedicata al cineasta iraniano, pubblicata in occasione della personale completa allestita a Torino dal Museo Nazionale del Cinema. Il regista, conosciuto nell'ambito dei festival in cui ha ricevuto non pochi riconoscimenti, pur essendo stato uno dei protagonisti indiscussi della nouvelle vague iraniana, probabilmente non ha goduto della popolarità attribuita ad alcuni suoi colleghi dagli inizi degli anni novanta (si pensi a Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf e Jafar Pahani) per le caratteristiche particolari e anomale del suo percorso artistico. Autore in qualche modo "apolide", Naderi ha lavorato in due paesi: il luogo d'origine, l'Iran in cui è nato nel 1946 e ha diretto dal 1971 al 1988 dieci lungometraggi e un mediometraggio e la patria d'adozione, gli Stati Uniti, dove vive dal 1986 e in cui ha realizzato quattro film a partire dal 1993.
Come sottolinea il critico del "New York Times" Dave Kehr, in un contributo posto in apertura alla pubblicazione, l'opera di Naderi è caratterizzata da due approcci completamente distinti: da un lato lo stile naturalista proprio della maggior parte dei prodotti girati in Iran, dall'altro quello formalista per quanto concerne tutte le realizzazioni americane. Questa duplice sensibilità non va intesa come contraddizione, bensì come fonte di energia creativa e nucleo delle costanti tematiche che si dipanano nelle sue opere. Anche i suoi personaggi, spesso emotivamente feriti, "sono individui isolati spiega Kehr in cerca di consolazione e di soluzioni da trovare all'interno delle strutture formali. Ma il formalismo non rappresenta una caratteristica fredda e astratta nei film di Naderi, piuttosto un approdo caldo e sicuro in un mondo caotico".
Il volume comprende un'approfondita analisi dell'opera di Naderi da parte di Massimo Causo e Grazia Paganelli, autori anche di una lunga e appassionante intervista con l'autore. Segue un dettagliato diario di lavoro tenuto da Maani Petgat, assistente alla regia del cineasta per Davandeh, pellicola in gran parte autobiografica sull'infanzia negata diretta nel 1985, su cui interviene anche il critico cinematografico Mohammad Haghighat, che sottolinea il ruolo fondamentale e pionieristico svolto da questo primo film-simbolo del nuovo cinema iraniano. Oltre a due brevi interventi di Enrico Ghezzi e dello storico Edoardo Bruno, merita segnalare un interessantissimo saggio dello sceneggiatore Hamid Dabashi, che tratteggia un vivido ritratto dell'amico Naderi e del suo viscerale rapporto con la città di New York, definendo nel contempo con lucidità ed empatia le caratteristiche della sua opera: un cinema "urbano, sulla postmodernità tecnologica, non assimilabile ad alcuna estetica nazionale o regionale, visivamente irriducibile, riflessivamente poetico".
Il libro è corredato da un'ampia filmografia commentata e da un interessante apparato iconografico, comprendente foto tratte dai film e istantanee scattate da Naderi, il cui lavoro di fotografo è stato riconosciuto e valorizzato in numerose esposizioni.
Massimo Quaglia
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