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Da qualche anno la letteratura di lingua tedesca sembra essersi svegliata: alcuni nuovi romanzi coniugano una notevole qualità letteraria con tirature altissime e traduzioni in molte lingue. Il caso più noto è quello di Daniel Kehlmann e la sua strepitosa affermazione internazionale con La misura del mondo, uscito nel 2005. Dello stesso anno e di notevole successo è il romanzo Va tutto bene, quarto libro dell'austriaco Arno Geiger, classe 1968, primo autore insignito del Deutscher Buchpreis. Il premio letterario, istituito nel 2005 per il miglior romanzo di lingua tedesca, garantisce, oltre a una cospicua somma di denaro, anche traduzioni nelle più importanti lingue, nonché una vasta eco mediatica. Così, dopo la recente pubblicazione in francese, "Le Monde" prevede che Arno Geiger con il romanzo Va tutto bene "troverà il suo posto nel pantheon dei grandi letterati".
A prima vista questo brillante romanzo sembra una saga familiare (tre generazioni della borghesia viennese in un lento e tormentoso declino tra il 1938 e il 2001), ma a guardare meglio prevale l'aspetto picaresco del libro che comincia e finisce con le vicende tragicomiche dell'ultima generazione, ovvero del sedicente scrittore Philipp Erlach. Il simpatico perdigiorno ha ereditato dalla nonna appena defunta una villa in un quartiere bene di Vienna siamo nella primavera del 2001 e rovista tra fotografie e altri ricordi, con la vaga intenzione di scrivere la storia della sua famiglia. Ma dalle poche sconclusionate annotazioni di questo scrittore-picaro postmoderno si deduce che il progetto fallirà miseramente. In realtà, però, questo libro fantomatico lo abbiamo già sotto gli occhi, è proprio il romanzo Va tutto bene di Arno Geiger, che ha dato una mano al suo eroe fannullone con un raffinato trucco narrativo: l'autore che compensa, con una strizzata d'occhio, l'incapacità letteraria del suo personaggio principale.
L'impianto del romanzo ricorda gli Anniversari di Uwe Johnson con i suoi due piani temporali: domina il breve filone del presente che si svolge poco prima del grande botto epocale degli attentati in America, mentre la lunga storia di una famiglia agiata in sette decenni di storia austriaca viene narrata quasi in sordina, in sole otto giornate scelte a caso. L'Austria di Arno Geiger non è affatto rosea, ma si distingue bene da quella descritta da tanti autori che, sulla scia di Thomas Bernhard e di Elfriede Jelinek, disseminano il loro paese di velenosi cliché negativi. Geiger narra i fatti di una famiglia fittizia ma di un paese reale episodi tristi, spassosi o atroci che siano con una meravigliosa leggerezza linguistica, e Giovanna Agabio nella sua traduzione non è da meno.
Il romanzo si apre e si chiude con le vicissitudini di Philipp, fragile e non più tanto giovane erede della villa. A trentasei anni non ha nessuna sicurezza nella vita, nessun vero amico e da troppo tempo trascina avanti una storia amorosa con una donna sposata, Johanna, che gli manda in casa due operai in nero, un austriaco e un ucraino. Questi due strani ceffi puliscono la soffitta dallo sterco di piccioni annidati da anni, fanno compagnia allo sgangherato scrittore Philipp, e infine saranno la sua unica speranza nella ricerca di un po' di calore umano, in una magistrale scena conclusiva di straziante e comica desolazione.
Di tutt'altra stoffa è la generazione dei vecchi: Richard, il nonno materno di Philipp, è un democristiano vecchio stampo, un pezzo grosso in un'impresa pubblica. Nel 1938 è preoccupato sì per l'avvento dei nazisti, ma teme anche le conseguenze della sua relazione amorosa con la bambinaia. Durante la guerra se la cava stando zitto, e nel 1955 lo rivediamo in qualità di ministro e figura chiave delle negoziazioni del trattato di stato. In famiglia è un tenero tiranno, padre di una figlia ribelle. Nel 1962, quando tutti stravedono per Kennedy, il suo partito lo scarica mandandolo in pensione e verso una lenta eclissi nelle tenebre dell'Alzheimer. Per fortuna ha sempre accanto una moglie in gamba, nonna Alma, un'appassionata apicultrice, la figura più positiva di tutto il romanzo. Il suo monologo accanto al letto del marito moribondo nel 1989 è un lucido riassunto della loro vita e del secolo, una delle vette narrative di Va tutto bene.
Geiger intreccia con grande maestria i fatti privati con quelli storici, creando un realismo poetico efficace fin nei minimi dettagli: nell'ottobre del 1989 a Berlino cade il Muro, a Vienna invece cade solo un vetro della soffitta nella villa di nonna Alma, si apre una breccia nella storia e un varco per i piccioni, che nei dodici anni successivi seppelliranno i ricordi di tutta un'epoca sotto i loro escrementi. Morti e sepolti sono anche molti rappresentanti della generazione di mezzo, un tempo la speranzosa gioventù di Hitler, poi gli artefici del miracolo economico. Vive ancora il padre di Philipp, Peter Erlach, che nel romanzo appare per la prima volta nell'aprile del 1945, un ragazzino che difende Vienna dall'Armata rossa. Questo figlio di un nazista nullatenente nel dopoguerra diventa socialista, è sfortunato negli affari e ha un suocero democristiano che lo disprezza. Con sottile ironia l'autore descrive l'accanita rivalità fra i due maggiori partiti politici che avvelena ancora il presente dell'opulenta Austria.
Il paese degli ultimi decenni, quelli che Arno Geiger conosce per esperienza, viene descritto con acume: è il mondo dei genitori di Philipp, che arrancano infelici nonostante tutto il benessere. Mentre il padre trova un buon impiego pubblico come esperto di sicurezza stradale, la madre Ingrid è dottoressa in un ospedale, nonché femminista arrabbiata. L'amore tra i due non è più quello di una volta, ma questo il piccolo Philipp ancora non lo percepisce. "Sì, va tutto bene", dice al telefono la madre al padre che è in viaggio d'affari. Non è neanche una bugia vera e propria, ma non è nemmeno la verità. Tutto cambia, però, quando la madre muore in un incidente balneare nel Danubio. Ora il padre si dà molto da fare con Philipp e Sissi, la sorella più grande. Lodevole è la sua pazienza con i figli che litigano in auto durante il viaggio verso la Jugoslavia. Ammirevole è anche la capacita dell'autore che in questa scena di tribolazioni adolescenziali unisce acume psicologico e scrittura agile.
Il passato non è del tutto passato nell'Austria di oggi, dove tutto sommato si sta abbastanza bene e alla quale sono dedicati più della metà dei ventuno capitoli. Le cose vanno però male per il disorientato Philipp. Il suo libro non procede, l'amante brontola, i ricordi della famiglia lo insidiano mentre sgombera mucchi di ciarpame nel container dei rifiuti. Gli rimangono solo i suoi nuovi "amici" che ormai hanno terminati i lavori di restauro della villa, il burbero operaio austriaco e lo spaesato ucraino, che vuole tornare a casa e sposarsi. Alla fine Philipp mendica un po' di affetto, chiede se può andare con loro in Ucraina alla festa delle nozze. Vagheggia con triste euforia il viaggio verso est, attraverso le mitiche province perdute dell'Austria imperiale un'appendice immaginaria in questo grande romanzo su un presente piuttosto vuoto e una storia molto ingombrante. Franz Haas
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