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Anno edizione: 2014
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Indice
UTOPIA E DISINCANTO
Nel Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere Leopardi mostra la struggente vanità di attendere, alla fine di ogni anno, un anno più felice di quelli passati, anch'essi attesi ogni volta nella fiducia che avrebbero arrecato una felicità che invece non hanno mai portato. Quel breve testo immortale del grande poeta italiano, così inesorabile nella diagnosi del male di vivere, è tuttavia esente dal facile pessimismo apocalittico di tanti retori odierni, compiaciuti di annunciare continuamente disastri e di proclamare che la vita è solo vuoto, errore e orrore. Il dialogo leopardiano è invece pervaso da un timido amore per la vita e da una ritrosa attesa di felicità, che vengono smentiti dal succedersi degli anni ma continuano a vivere, con timore e tremore, nell'animo e fanno sentire il dolore e l'assurdità tanto più fortemente del pathos catastrofico.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Utopia e disincanto" è una corposa raccolta di articoli e saggi di Claudio Magris apparsi, tra il 1974 e il 1998, su giornali e riviste. Gli scritti si caratterizzano tutti per la lucidità e l'acutezza con cui affrontano i vari argomenti. Un primo gruppo di articoli analizza l'attuale condizione umana e storica. Claudio Magris affronta temi che riguardano la svolta di fine millennio, il ruolo della letteratura, la figura dell'intellettuale, l'identità culturale e il libero arbitrio. In "DALL'ALTRA PARTE. CONSIDERAZIONI DI FRONTIERA" lo scrittore triestino si sofferma sul significato e sul senso della frontiera. Magris, dopo aver rilevato come la linea di confine è "duplice, ambigua; talora è un ponte per incontrare l'altro, talora una barriera per respingerlo", considera la frontiera come "una necessità, perché senza di essa non c'è identità". Un altro filone di interventi riguardano il profilo di personaggi e la riscoperta di libri dimenticati. In questa parte Magris rievoca la figura di Ninon de Lenclos, donna colta e fascinosa del secolo XVII, il grande naturalista Linneo e l'opera di uno scrivano del seicento. Nel saggio in cui Magris parla "Della dissimulazione onesta" di Torquato Accetto, libro dalla prosa "trasparente e insondabile come un'acqua limpida ma profonda", sono fatte alcune belle considerazioni sul mestiere dello scrittore ("ciò che distingue il vero scrittore, anche piccolo, è la coscienza di non essere autore o creatore, ma un causale contenitore o un attento verbalizzatore delle epifanie che gli vengono donate") e sull'uso della verità ("la dissimulazione onesta copre temporaneamente la verità per proteggerla dai fraintendimenti e dalle deformazioni, per impedire che essa si manifesti in modo inopportuno, rovesciandosi così nel falso"). Le figure di grandi scrittori e poeti hanno un ruolo di primo piano nel libro. Claudio Magris traccia, rievocando diverse circostanze, un profilo delle opere e della vita di Borges, Junger, Goethe, Hugo, T. Mann, Dostoevskij, Goncarov, Hesse, Broch, Andr
Recensioni
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"La letteratura difende l'eccezionale e lo scarto contro la norma e le regole; essa ricorda che la totalità del mondo è infranta e che nessuna restaurazione può fingere di ricostruire un'immagine armoniosa e unitaria della realtà che sarebbe falsa."
Una raccolta di brevi saggi e di articoli giornalistici, molti già noti al lettore, altri forse meno conosciuti: eppure un volume che fa trascorrere alcune ore in compagnia di Claudio Magris è sempre e comunque un evento, uno dei rari piaceri della vita, la possibilità di avere una chiave di lettura in più sul mondo, sulla realtà che ci circonda, su noi stessi. E infatti possiamo attribuire allo scrittore triestino la qualità di "maestro", proprio nel senso che lui stesso dà a questo termine nel saggio del 1996, Maestri e scolari: maestri non sono infatti "le figure che trasmettono la Legge; possono essere anarchici che la trasgrediscono, ma sempre in nome della necessità di trovare la propria via alla Legge". Così quando nel primo saggio, che dà il nome alla raccolta, viene dichiarata la necessità della coesistenza di utopia e disincanto (che ridicola cosa sarebbe don Chisciotte se non avesse al suo fianco Sancho Panza!), della indispensabile coscienza del peccato originale, ma dell'altrettanto indispensabile ricordo dell'Eden, Magris svolge appunto, nel modo più rispettoso per il lettore, questa funzione di "maestro".
La ormai rara capacità d'indignazione davanti all'osceno spettacolo dell'indifferenza dei vivi di fronte allo scandalo della morte, fotografata su di una spiaggia estiva e riprodotta su vari quotidiani, è presente in un articolo del 1997, posto quasi a chiusura della raccolta, Foto d'agosto: lo sgomento davanti alla morte, il valore dei riti come sicurezze a cui aggrapparsi davanti a ciò che è solo mistero, il rifiuto assoluto di una indifferenza che testimonia non il gusto ineludibile del godere, sempre e nonostante tutto, ma il trionfo della morte nella sua negazione, nel rifiuto di offrirle omaggio, si chiude con una richiesta di perdono, che deve essere fatta propria da ogni lettore, anche dal più distratto.
E così l'utopia e il disincanto si uniscono continuamente al tema dell'amore: un amore più vasto, che "implica il disincanto e la capacità di fissare il nulla", ma che non si arrende davanti alla brutalità dell'oggi e della vita; o l'amore per una donna che può non essere logorato dallo scorrere del tempo, ma che, col passare degli anni sa inventare nuove emozioni, nuove forme di complicità e di unione, "come l'acqua di un fiume che trascina via, ma aggiunge anche cose nuove".
La letteratura è offerta come strumento di conoscenza, proprio per la sua ambiguità ("non si può accarezzare né rifiutare l'ambiguità; essa è nelle contraddizioni delle cose e del nostro animo e l'unico modo di esserne adeguati è cercare di districarla pur sapendo di non riuscirvi"), nonostante la sua "inadeguatezza a rappresentare la vita" (citando Borges), ma anche per la sua irregolarità, per quello scarto perenne che testimonia la frantumazione dell'ordine universale e delle nostre identità.
Proprio il tema dell'identità è presente in Dall'altra parte. Considerazioni di frontiera del 1993. La frontiera è vista simbolicamente talora come "ponte per incontrare l'altro, talora barriera per respingerlo", e ogni uomo si trova ora di qua, ora di là, anzi ognuno necessariamente è unione delle due cose: sicurezza di identità, necessità del limite, ma altrettanto doverosa consapevolezza dell'inconsistenza, della precarietà di tali barriere. "La letteratura insegna a varcare i limiti, ma consiste nel tracciare i limiti, senza i quali non può esistere nemmeno la tensione a superarli", utopia a e disincanto, appunto, identità ironica e sempre da verificare. Per chi, come Magris, è nato a Trieste, la frontiera (e le sue simbologie) è stata elemento di formazione sentimentale e intellettuale, così come il mare: frontiera anche come confine morale e mare come momento di indistinta unione, di luogo del ritorno: essere Ulisse è cercare la patria attraverso il mare.
Così la modernità, le sue contraddizioni, le sue "utopie", ormai inseparabili dal nostro "disincanto", (non siamo certo più affascinati dalle magnifiche sorti e progressive) diventa quasi uno specchio della condizione umana. Il sondaggio, l'uso del questionario come forma di conoscenza di cui la società computerizzata fa largo uso, "non snatura la vita, ma dice forse la verità, lascia filtrare, negli spazi bianchi fra una 'D.' e una 'R.', il vuoto, il niente, l'indicibile e impensabile morte". A questo punto la letteratura è un'ancora, la salvezza se "il gesto di narrare crea, finge e costruisce un'identità, mentre chi risponde ai test sente di perderla", chi più dello scrittore, del narratore, di Claudio Magris, può e sa regalare a sé e a noi qualche "utopia" che ci illuda che la rozza Aldonza sia l'incantevole Dulcinea?
A cura di Wuz.it
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