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1994
1 gennaio 1994
206 p.
9788872850411

Voce della critica


recensione di Bellofiore, R., L'Indice 1994, n. 9

La riflessione di Claudio Napoleoni è stata in questi anni oggetto di studi approfonditi. A questi si aggiunge ora il libro di Giovanni Mazzetti, con più di un carattere di originalità. Il lavoro di Mazzetti, infatti, interloquisce con le tesi di Napoleoni non soltanto sul terreno disciplinare della teoria economica, ma anche, e soprattutto, mettendo in questione le fondazioni filosofiche e antropologiche che sorreggono le conclusioni politiche dell'economista scomparso.
Il discorso dell'ultimo Napoleoni ruota intorno alla tesi che il rapporto capitalistico, generalizzando l'alienazione, determina una "fine dell'autonomia dell'uomo". Contrariamente alle attese di Marx, non sarebbe perciò possibile prospettare una fuoriuscita dal capitalismo che miri al recupero della "naturale" autonomia dei soggetti, perché quella naturale autonomia è stata di fatto dissolta nel corso della storia - Napoleoni, riecheggiando una terminologia introdotta anni addietro da Lucio Colletti, sostiene in altri termini che il lavoro è ormai divenuto integralmente parte del capitale, semplice rotella del meccanismo economico, e non può dunque in alcun modo porsi come soggetto "centrale" della costruzione di un nesso sociale alternativo. Di qui, la curvatura, per così dire, pessimistica degli scritti finali, che si spingono sino a costeggiare l'invocazione heideggeriana "ormai solo un dio ci può salvare".
L'originalità e l'importanza del lavoro di Mazzetti stanno nel tentare una critica del ragionamento di Napoleoni non affrontandolo dal lato del suo approdo terminale, appunto la dissoluzione dei soggetti, ma dal lato del suo principio, la configurazione stessa dell'"alienazione" che si darebbe nella storia e si radicalizzerebbe nel rapporto capitalistico. Per Napoleoni, l'alienazione è l'inversione del rapporto "normale", di verso diritto, tra soggetto e oggetto, dove il primo gioca il ruolo attivo e il secondo il ruolo passivo. Ciò che si verifica nella storia è che il fare dell'essere umano, in quanto mosso da un'intenzione di dominio sul mondo ridotto a prodotto, ha finito con il ridurre a prodotto lo stesso soggetto produttore. Mazzetti, in pagine di grande nitidezza, contesta la fondatezza dell'idea che il soggetto possa essere sempre inteso come lato attivo, e l'oggetto come lato passivo. Al contrario, carattere necessario dell'acquisizione di soggettività da parte dell'essere umano è, per lui, "lo smarrire di volta in volta la propria preesistente soggettività nell'oggetto che ha precedentemente prodotto". La soggettività va vista, insomma, non soltanto come punto di partenza ma anche come risultato, in un processo a spirale.
Per chiarire natura e implicazioni di questa diversa visione, per cui l'alienazione è punto di passaggio inevitabile e ricorrente dello sviluppo dell'essere umano, l'autore propone in sequenza prima un approccio antropologico al soggetto umano che tenga conto della sua originaria animalità, quindi un discorso filosofico sulla relazione tra scienza e contraddizione, infine alcune conclusioni politiche sui compiti che la forma attuale dell'alienazione impone.
Per quanto riguarda il versante antropologico della testi, si tratta di questo. In quanto animale, l'essere umano da principio adatta l'ambiente esterno ai propri bisogni reagendo a una "negazione", cioè al presentarsi accidentale di ostacoli esterni. L'emergenza di un'autentica "soggettività" implica, d'altra parte, una capacità di "posposizione", il cogliere le proprie energie vitali in modo "oggettivo", e quindi la capacità di confrontarsi con la propria azione prima di porla in essere. Deve perciò potersi individuare una vera e propria "separazione" tra l'organismo e la realtà in cui vive. È questa rottura dell'unità immediata tra essere umano e natura esterna che va spiegata. La spiegazione proposta da Marx - una spiegazione che, sostiene Mazzetti, viene confermata dall'evoluzione del sapere scientifico successivo - consiste nell'individuare un momento di "svuotamento", per cui l'essere umano "ancora animale giunge finalmente a sperimentare le particolari condizioni della sua esistenza nella forma della esteriorità... come un qualcosa che gli sta di fronte, che gli è contrapposto e che gli si contrappone semplicemente perché, nonostante per vivere egli debba appropriarselo, non può farlo nella maniera che gli era 'naturalmente' propria fino a quel momento". È, per così dire, grazie all'alienazione che il soggetto si costituisce come tale.
Riconsiderato il ruolo dell'alienazione nello sviluppo dell'essere umano, Mazzetti si volge a una disamina conseguente del ruolo della contraddizione nella ricerca scientifica. L'emergere della contraddizione "indica che nel rapportarci al mondo circostante, nel tentativo di soddisfare il bisogno, non abbiamo tenuto conto di qualcosa che fa ora la sua comparsa, per mettere in discussione l'approccio assunto". La contraddizione è un risultato inatteso e in contrasto con quanto la teoria richiede, e però ottenuto secondo procedure prive di errori: proprio per questo è essa a far muovere la conoscenza, imponendone una riformulazione. Da questa visione, in cui l'essere umano e la conoscenza sono perennemente "in formazione", derivano i compiti politici che l'autore propone in chiusura del suo scritto. Si tratta di acquisire coscienza e controllo dell'agire comunitario in cui siamo, senza saperlo, sempre più immersi, in conseguenza di quella dipendenza sociale non più capitalistica che si è andata producendo, in forma alienata, con il keynesismo e il welfare statalistico, e che incorre ormai in contraddizioni che ne impongono un superamento. Si tratta, insomma, di imparare il linguaggio, e di sviluppare le capacità, di una vita coscientemente cooperativa.
Come è evidente, si tratta di tesi che hanno il pregio di smuovere le acque un po' stagnanti della discussione teorica nella sinistra, o appiattita sul breve periodo o rincantucciata in una difesa identitaria. Non tutto mi sembra convincente, nel libro di Mazzetti: il ruolo positivo riconosciuto all'alienazione dipende troppo da una filosofia della storia di stampo tradizionalmente scientista e materialista; la "contraddizione reale" perde la sua specificità di carattere capitalistico per divenire momento essenziale di una generale teoria della crescita della conoscenza; la socialità appare il portato necessario dell'intero sviluppo storico, pena la barbarie. Come mi sembra non poco discutibile la tesi di una natura "non capitalistica" del keynesismo e del welfare. Tutti limiti che discendono dall'aver dislocato il marxismo dal suo luogo proprio, di scienza critica di un modo di produzione determinato, per farne una teoria generale della società e della natura. Pure, Mazzetti coglie, a me pare, due punti importanti: che il discorso sull'alienazione va sganciato da un'ontologia umanista; e che il nodo centrale dei conflitti sociali sarà sempre più la pratica cosciente di forme alternative di relazione sociale. Se si vuole: ciò che l'essere umano pensa di se stesso, in conseguenza e come premessa del suo fare e degli ostacoli che incontra, è la posta in gioco, ben materiale, delle lotte future.

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