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Sulla macchina da scrivere dell'ottantatreenne Martin Walser non si sono mai formate le ragnatele. Da un cinquantennio lo scrittore tedesco sforna un nuovo testo ogni due o tre anni. Dal suo esordio come romanziere nel 1957 con Matrimoni a Philippsburg, il romanzo continua a essere il genere prediletto dall'autore, che nel corso della sua pluriennale attività letteraria non ha tuttavia disdegnato il ruolo di drammaturgo, saggista e novelliere. Nell'ultimo quinquennio, dopo il passaggio dall'editore Suhrkamp a Rowohlt, i romanzi di Walser sembrano ruotare attorno a un unico baricentro, quello dell'amore ostacolato dallo iato dell'età.
Il tema non è nuovo nella scrittura walseriana, essendo stato già affrontato in un appassionato romanzo del 1985 (Brandung, "Onda frangente"). La novità degli ultimi tre romanzi di Walser consiste però nel tocco sensibilissimo degli accenti cromatici impiegati per affrontare il tema dell'amore senile con un sottile scandaglio psicologico che conferisce alla sintomatologia amorosa, specie nell'ultimo romanzo, la complessità di un dramma esistenziale. La stagione era stata inaugurata nel 2004 da Der Augenblick der Liebe (L'istante dell'amore, Sugarco, 2005), romanzo nel quale il sentimento amoroso tra l'attempato studioso Gottlieb Zürn e la giovane dottoranda americana Beate Gutbrod vive le sue fasi di intensità e disillusione scortato dalla comune passione degli amanti per il filosofo francese LaMettrie. Fu poi la volata di Angstblüte ("Il fiore dell'angoscia", 2006), un romanzo dai toni più ardenti, centrato sugli effetti catastrofici del risveglio passionale nel settantunenne Karl Kahn, destinato alla follia dopo un'intensa e fugace relazione con un'attrice quarantenne.
In Un uomo che ama, l'ultimo romanzo di Walser, segnalato nel 2008 per il Deutscher Buchpreis e ora ben tradotto da Coppellotti, il dramma d'amore si consuma sulla pelle del vecchio Goethe, settantatreenne quando, nella realtà dei fatti, si innamorò della diciannovenne Ulrike von Levetzow, la contessina alla quale il poeta dedicò la più mesta delle sue elegie, l'Elegia di Marienbad. È un Goethe spoglio di ogni retorica quello offerto da Walser, che si compiace di renderlo anche troppo umano in alcune scene topiche del romanzo, mettendolo nudo davanti allo specchio a contemplarsi le membra cadenti, facendolo capitolare rovinosamente nell'esuberanza di un passo troppo baldanzoso, presentandolo alla fine del romanzo con il membro eretto tra le mani al risveglio da un sogno. Il sospetto di un intento iconoclasta contro il nume olimpico tedesco sarebbe lecito se si guarda ai precedenti walseriani. In un dramma di Walser del 1982 l'anziano Goethe figurava come idolo egocentrico mummificato nel suo ruolo di poeta rappresentativo di una nazione, al cospetto del quale il povero Eckermann riduceva il suo ruolo a devoto servitore di un Dio irascibile: la metalepsi nel titolo del dramma In Goethes Hand ("Nelle mani di Goethe") insisteva proprio sull'onnipotenza del monumento Goethe.
Il sospetto risulta tuttavia fuorviante per Un uomo che ama, che di fatto non è un romanzo storico (anche il tedesco dell'autore si sintonizza di rado con la lingua del XVIII secolo), nel quale Goethe perde, senza tuttavia tradirla, la sua consistenza monumentale. Il Goethe di Walser è una figura che acquista un'autenticità antropica, esaurendo la sua grandezza nel suo ultimo e disperato amore. Egli resta dall'inizio alla fine del romanzo un uomo, e più umanamente un uomo che ama. Attraverso l'esperienza dell'amore e della rinuncia, il beniamino amato dagli dei e dalle donne, colui che sopravvisse alla passione del suo Werther solo dopo averlo assassinato, diventa per la prima volta fragile preda del dolore. Un dolore "che rende sporchi" perché rende vulnerabili, destinati alla rovina. Il romanzo mette a nudo perciò non solo "i dolori del vecchio Goethe", ma quella catastrofe dell'età alla quale il protagonista di Walser va incontro quando prende consapevolezza che non può più amare con la sicurezza giovanile, scoprendosi per la prima volta un anziano: "Non si muore per il fatto di essere vecchi" sentenzia, "è brutto non poter più amare. No, tu puoi amare, ti devi soltanto abituare a non essere più, mai più amato".
Nadia Centorbi
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