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È come se, a poco a poco, il ritratto di Pietro Calamandrei da iconico e monumentale si facesse più umano, ricco di sfumature e mezzetinte, perdendo quell'aura di fissa sacralità che l'ha di norma avvolto. Questa composita raccolta, ben costruita e annotata dalla nipote Silvia e da Casellato, autore di un saggio introduttivo felicemente spigliato, permette di conoscere più approfonditamente lo sviluppo del pensiero e delle posizioni di Calamandrei negli anni drammatici che vanno dall'entrata in guerra al cruciale 1924. La periodizzazione scelta è buona non solo, come in questo caso, a illuminare una tormentata fase della biografia d'un protagonista, ma per circoscrivere una parabola che ha fitti riscontri nelle vicende, psicologiche e culturali, di una certa Italia: quella del combattentismo che aveva immaginato la guerra come una dolorosa impresa da affrontare per dar compimento all'indipendenza della nazione e avviare una democrazia più aperta alle istanze sociali. In questo senso è corretto legare in continuità gli anni del fronte e l'inquietante tumulto del dopoguerra, fino alla vigilia dell'instaurarsi del regime fascista.
Il giurista fiorentino, soprattutto nelle lettere indirizzate alla moglie Ada qui ne sono pubblicate 220 delle 915 conservate descrive con letteraria minuzia la sua esperienza di tenente e poi di capitano, svoltasi nelle retrovie, a ridosso dei combattimenti più aspri. Il diario che ne risulta alterna riflessioni morali, scoperta di sé e indagine sugli altri. Dopo aver tenuto un discorso in onore dei caduti a Maresca, Calamandrei confessa alla sua compagna la sposerà, in licenza, il 10 dicembre 1916 di aver scoperto in sé un'eloquenza che non sapeva di possedere: ecco i primi passi della sua calcolata retorica civile. Nel tentativo di argomentare con convincenti motivazioni la compresenza di personali affetti e ardente nazionalismo, le confessa che non saprebbe volerle "un infinito bene" se non fosse "al suo posto", a sperimentare un'angosciante fusione di sentimenti in apparenza opposti. La guerra, indagata da una posizione privilegiata, ma prossima ai terribili scontri, non ha alcuna attrazione, si svela come "triste, ma santa necessità". E le variazioni sul tema non sono punto consolanti o edulcorate: "follia mondiale", "infinita sciagura", "cosa orribile", "fatale vortice". Eppure dal sacrificio di tante vite sarebbe nato questa è l'ingenua e ardimentosa fiducia di Calamandrei un nuovo ordine, un più condiviso senso di appartenenza e la prospettiva di una concorde unione delle patrie. In nome della sua idea mazziniana e vitale di patria, Calamandrei esortò in particolare gli studenti della sua università ad abbandonare lotte fratricide e feroci furori, esorcizzando il rischio di una frattura generazionale che avvertiva imminente. Più che la vittoria a essere tradita è a suo parere: e il tema del tradimento tornerà in chiave analoga nel dopoguerra postresistenziale la speranza dei giovani che, come lui, avevano creduto di assumere la spaventosa esperienza attraversata quale spartiacque all'origine di una nuova, pacificata storia.
Roberto Barzanti
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