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Anno edizione: 2013
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
sono una appassionata di giallistica nordica, ed ho trovato questo romanzo uno dei più interessanti che abbia mai letto per l'originalità dell'ambientazione e per l'intreccio inconsueto.adatto a chi non cerca la morbosità o il sangue a tutti costi, ma magari un pò di cultura e di conoscenza del "diverso".
L'ambientazione sami non basta per fare di questo poliziesco, pieno di stereotipi e di falsi colpi di scena, un libro interessante. Credo che tante buone critiche gli siano state attribuite perché nessuno parla mai dei lapponi. Ma questo libro è davvero inutile, il linguaggio piatto, la trama artificiosa, i personaggi prevedibili e i contenuti ideologici di un'evidenza imbarazzante.
Non male. Un po' lunghetto ma a volte le storie hanno bisogno di respiro per essere apprezzate. Una cosa che devo criticare allo stile di Truc, non gestisce sempre in maniera efficace i punti di vista. A volte passa da un personaggio ad un altro senza preavviso ed è disturbante e rallenta la lettura col rischio di farti rileggere il periodo precedente. In tal modo si crea uno stacco. Tuttavia, ho trovato la lettura interessante.
Recensioni
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Ci aspetteremmo un autore del Nord per un romanzo che si intitola “L’ultimo lappone”. E invece Olivier Truc è un giornalista francese che vive da molti anni a Stoccolma, inviato di Le Monde e Le Point per la Scandinavia. Questo è solo il primo dettaglio singolare per un romanzo singolare che ci irretisce fin dalla prima pagina con una scena ambientata nel 1693 nella Lapponia centrale: un lappone cerca di sfuggire ai suoi inseguitori, tra i quali c’è un uomo di chiesa che gli lancia contro una maledizione e l’augurio di bruciare all’Inferno. La trama de “L’ultimo lappone” si svolge, però, nel 2011, ma, se non ci venisse detto, se non ci fossero motoslitte, quad, telefoni cellulari e tute termiche, penseremmo che il tempo si sia fermato in Lapponia, perché le condizioni di vita degli allevatori di renne sono immutate, anche se ormai sono pochissimi quelli rimasti, che hanno l’ardire di sfidare i 40° sotto zero, le tormente di neve, la solitudine, il disagio di abitare nei ‘gumpi’, di difendersi dal freddo con abiti fatti con pelle di renna.
Lo sgocciolare del tempo: è questo il secondo dettaglio singolare e affascinante del romanzo. Il passare del tempo, che introduce i vari capitoli, viene indicato in maniera quanto mai efficace non tanto dalla data, ma dall’ora in cui il sole sorge e tramonta, dal numero di ore di luce in Lapponia. Si inizia il 10 di gennaio quando ancora perdura la notte polare e il poliziotto Klemet viene colto dal timore irrazionale che il sole possa anche non apparire affatto, e la fine di tutto ha luogo il 28 di gennaio: “Il sole sorge alle 9,02 e tramonta alle 14,02. Cinque ore di luce.” Niente come questo conteggio - 27 minuti di luce l’11 di gennaio, già due ore e quindici minuti tre giorni dopo, tre ore e ventisette minuti il 20 di gennaio - potrebbe darci un’idea della diversità di una regione in cui si avverte un alito di primavera quando si vede il sole per un paio di minuti in più e la temperatura si alza ai 20° sotto zero.
Nella notte tra domenica 9 e lunedì 10 di gennaio è stato rubato un tamburo dal museo di Kautokeino, nell’estremo nord della Norvegia: per i lapponi è più che il furto di uno strumento tradizionale, è il furto della loro identità, l’ennesimo tentativo di discriminarli, di assimilarli agli altri abitanti della Scandinavia, di annullare la loro diversità. Ormai esistono soltanto settantun tamburi originali - erano gli strumenti degli sciamani, una maniera per comunicare con l’aldilà, e i disegni sulla pelle dei tamburi avevano un significato simbolico, raccontavano una storia.
Il giorno dopo il furto viene ritrovato il cadavere di un piccolo allevatore di renne, si pensa ad un regolamento dei conti, all’uomo sono stati mozzati gli orecchi. Ad occuparsi dei due casi - che appaiono presto collegati - sono un giovane poliziotto sfottente e odioso e due membri della polizia delle renne, il corpo speciale che esiste solo in Lapponia. E questi sono due personaggi accattivanti di cui ci ricorderemo: Klemet è l’unico sami ad essere entrato nel corpo di polizia e Nina è l’unica donna poliziotto della regione. Klemet è abituato a ingoiare il disprezzo con cui gli si rivolge il giovane collega, a sorvolare sulle insinuazioni degli altri sami che lo accusano di aver dimenticato le sue origini; Nina è aperta alla nuova esperienza, non ha pregiudizi, è affascinata da quello che apprende su quella popolazione autoctona, dagli joik che non sono nenie lamentose e incomprensibili ma un modo di tramandare oralmente una storia, la loro Storia. Nina subisce anche il fascino selvaggio di Aslak, il migliore e più ‘puro’ allevatore di renne, il lappone che vive lontano dalla civiltà, che conosce la tundra meglio di chiunque, che è in grado di guidare un losco francese alla ricerca di una leggendaria miniera...
“L’ultimo lappone” è un ottimo esordio narrativo (ne verrà tratto un film, immaginiamo la grandiosità degli scenari) perché ci trasporta in un altro mondo riuscendo a intrecciare la trama propria del thriller, con la ricerca del colpevole di un crimine, con la storia di una popolazione di cui sappiamo poco e che abita in una vasta area dai confini incerti, soggetti a spostamenti nel corso degli anni. Interessanti i protagonisti, mozzafiato i paesaggi di neve e di gelo e le rutilanti aurore boreali.
A cura di Wuz.it
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