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Renzo De Felice era solito dire che le vicende relative agli ultimi giorni di Mussolini non erano state la parte più importante della sua vita. Ciò è probabilmente vero, ma non esclude che l'ingloriosa fine del duce abbia alimentato un'enorme bibliografia e, soprattutto, sia strettamente legata alla persistenza del suo mito/antimito. Non è infatti un caso che l'esposizione dei corpi di Mussolini e dei gerarchi a piazzale Loreto rappresenti ancora oggi l'immagine della fine traumatica di un regime e del suo capo.
Pierre Milza ci offre, con questo libro, innanzitutto un ordinato, anche se non privo di imprecisioni, riassunto degli eventi di quel lontano aprile 1945. Il modello dichiarato è La disfatta: gli ultimi giorni di Hitler e la fine del Terzo Reich di Joachim Fest, ma non si può dire che lo storico francese sia riuscito nel proprio intento, forse per aver privilegiato alcune fonti (la memorialistica dei partigiani non comunisti Pierluigi Bellini delle Stelle, "Pedro", e Urbano Lazzaro, "Bill"). È indubbiamente vero che "la morte di Mussolini si inscrisse in realtà in un contesto che non era solo quello della guerra tra gli alleati occidentali e ciò che rimaneva della coalizione hitleriana. Essa fu anche oggetto della contesa tra i dirigenti occidentali e quelli sovietici, e tra britannici e americani" e tra le varie anime della Resistenza italiana (sinistre e moderati, civili e militari). Ma, se il proposito del libro non era quello "di aggiungere ulteriori versioni più o meno rocambolesche a quelle già proposte da dozzine di opere", probabilmente Milza ha sortito l'effetto contrario. Non solo, infatti, il giudizio storico sulle motivazioni che portarono Mussolini a costituire la Repubblica sociale è, in buona sostanza, quello di De Felice. Milza finisce anche per condividerne i sospetti sull'inattendibilità della "vulgata imposta dai dirigenti del Partito comunista" che vedeva Walter Audisio, il "colonnello Valerio", nelle vesti di esecutore materiale della condanna a morte. In particolar modo, anche Milza ritiene che vi sia stato un ruolo determinante dei servizi segreti inglesi, in contrapposizione a quelli statunitensi, per eliminare, con la figura del capo del fascismo, anche la traccia delle imbarazzanti relazioni che lo avevano legato, per lunga parte della sua carriera politica, a Churchill. Ipotesi, a tutt'oggi, non suffragate da alcun documento (se non l'inattendibile testimonianza del partigiano Bruno Giovanni Lonati, che pure viene citata), anche se plausibili.
Il problema di fondo è però un altro: come riconobbe lo stesso generale Cadorna, comandante del Corpo volontari della libertà, una "Norimberga italiana" non conveniva, in quel momento, a nessuno. Soprattutto, quando una guerra finisce, si vive sempre, piaccia o non piaccia, per un periodo più o meno lungo, in uno "stato d'eccezione", di sospensione della legge comune e dell'amministrazione usuale della giustizia, che viene demandata a soggetti non tradizionali (in questo caso prima al Clnai, poi alla Commissione alleata di controllo e alle Corti d'assise straordinarie) fino a quando non si tornò (anche attraverso l'amnistia voluta dal guardasigilli Togliatti) alla "normalità". Si può discutere sulle forme e i tempi di questi passaggi: ma così accadde e, probabilmente, non poteva accadere altrimenti.
Giovanni Scirocco
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