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L'obbiettivo di far guadagnare la licenza media a molti ragazzi napoletani «espulsi, perduti o cacciati dalla scuola normale», avrebbe bisogno del sostegno attuato dal «riconoscimento previsto dalla legge per le “zone a rischio”» (p. 118) e di un'attenzione a latere, invece latitante, che sembra sempre più sottolineare il canyon esistente tra ragazzi «perbene» e ragazzi «permale» (p.120), anche per motivi di spesa pubblica, oltre a tanti altri. Tuttavia, si tratta di “scuola”, quella alternativa di Chance, che ha del miracoloso: nonostante i pochi mezzi, il calore nel condividere nuovi percorsi attrae i ragazzi che non frequentavano (per i quali se non esistesse il Progetto Chance, non si immaginerebbe alcun futuro differente da quello stato di esistenza protrattosi per generazioni). Gli ultimi della classe di P. Tavella, in tal senso offre soltanto un ventaglio di testimonianze, riportate con tono aneddottico attraverso un discorso indiretto costante con il Lettore, per il quale si rende ascoltatrice e osservatrice d'esperienze nel tentativo di restituire l'entusiasmo/la difficoltà dei volontari; né eroi, né santi, insegnanti (una missione, la loro, considerando che «gli adolescenti di questi quartieri, sono un'altra etnia», che presuppone la disponibilità a parlare un linguaggio “altro”, fatto di conoscenza, comprensione, complicità, affetto). Scegliendo probabilmente fra mille altri soltanto alcuni episodi/figure, alcuni successi/insuccessi «”Su ventiquattro” dice Cesare”ne abbiamo persi solo sei, quelli che avevano superato l'età dell'obbligo”. Tutti intervengono nel racconto illustrando la sorte di ognuno». Per quanto criticati (avvertiti inutili per soggetti irrecuperabili destinati a far carriera nel mondo della malavita, o concorrenziali ai progetti di sostegno della scuola pubblica), i percorsi dei progetti Chance, almeno non danno per scontato che determinate “sorti” siano obbligate: è questa, in fin dei conti, l'effettiva chance, per qualsiasi giovane individuo e per la Scuola stessa.
Le premesse fanno intendere che le storie narrate sono vere; alla fine si scopre che non è così. Questo libro lo poteva scrivere qualunque napoletano; l'autrice ha sfruttato il nobilissimo operato di Chance solo per trarne un proprio tornaconto.
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