Posta a metà strada fra Birmingham e Londra, Milton Keynes appartiene al gruppo di città di fondazione designate all'interno dell'ultimo ed effettivo New Town Act (1965), e può essere considerata la più significativa - forse l'ultima, appunto - new town britannica. Dopo il decennale dibattito aperto dalla città-giardino di Ebenezer Howard - che aveva il merito di superare l'ambito urbano per affrontare il tema della città nel più ampio contesto regionale, ovvero come una realtà insieme fisica, economica e sociale -, nel 1946 il governo britannico si impegnò nel più longevo e consistente intervento pubblico nella storia della città europea del ventesimo secolo. Il piano, portato avanti da un gruppo allargato di progettisti (David Lock, Derek Walker, Lee Shostak) e consulenti (Richard Llewelyn-Davies, John Weeks, Walter Bor, Melvin Webber e Nikolaus Pevsner), era l'atto finale di un climax urbanistico ascendente. Questi insediamenti - circa trenta nel solo Regno Unito - nacquero da un'utopia, ma furono una realtà tanto solida da essere esportata, negli stessi anni, in tutto il mondo (nei Paesi scandinavi, negli USA, in Israele, in URSS e in Giappone). Cuore di ogni sperimentazione urbanistica, il modello della new town - talvolta invocato in caso di calamità naturali, come dopo i terremoti di Gibellina o L'Aquila - attraversa tutto il Novecento, e trova oggi nuove incarnazioni nelle comunità sostenibili, nei villaggi urbani a zero emissioni, nelle eco-città con piani di sviluppo basati sul verde e sulle piste ciclabili, e in alcuni nuovi complessi urbani in India e in Cina. Nel presente saggio, l'autore ricostruisce con puntualità e rigore il pensiero e l'azione delle «culture del piano» che si sono concretizzate in Milton Keynes, ad oggi il prototipo più efficiente di welfare urbano, ma anche il più rimosso, nonostante, in Gran Bretagna, l'«ultima new town» sia anche la prima città per incremento demografico.
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