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Negli ultimi anni della sua vita, durata quasi un secolo, Giovanni Michelucci raccontava spesso quella che lui definiva una favola e che più chiaramente si potrebbe definire una visione. Ora questa visione ci viene restituita in una forma nuova da un esile ma succoso libretto pubblicato a Reggio Calabria per merito di Giacomo Pirazzoli e Andrea Aleardi (G. Michelucci, L'ultima lezione, Cannitello): "Immaginavo di camminare in un bosco, scoprendo ad un certo momento... una capanna piccola, malridotta... tanto che veniva senz'altro la certezza... che non era sufficiente alla vita di una famiglia... mentre mi avvicinavo... intravedevo da certe fessure un certo movimento... e la mia sorpresa era questa che era piccola; a noi sempre, quasi sempre ci manca uno spazio che cerchiamo nella vita; mi sono avvicinato... e ho visto un'ala, una grande ala... che non poteva essere che di un angelo il quale aveva trovato la possibilità di vivere in questo spazio e di viverci con tutta la dignità possibile". Parlando ai ragazzi della facoltà di architettura occupata, nel lontano 1990, Michelucci traeva dalla sua favola una morale molto semplice: "Non occorre che cambi lo spazio, occorre che cambino, che cambi l'abitante, che all'angelo si sostituisca l'uomo, che è capace di trovare tutto ciò che è necessario, perché tutto ciò che è necessario è dentro di lui, è vissuto, cioè c'è un rapporto tra lui e il cielo che ha una grande importanza,. è veramente il fondamento della vita". Come tutte le visioni anche quella dell'angelo di Michelucci suggerisce infinite interpretazioni ma la più semplice e diretta è quella che si riferisce al titolo stesso di questa rubrica: Abitare la terra. L'uomo di fine secolo, al quale l'architetto si rivolge, l'uomo dei Paesi più ricchi e industrializzati è alla ricerca di nuovi spazi, di nuove frontiere in cui si moltiplicano le sue capacità di godere, di esprimersi, di consumare e in questo progressivo abbandono dei limiti che ne condizionavano l'esistenza ha perso nello stesso tempo la dimensione
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