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Anno edizione: 1999
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recensioni di Jona, A. L'Indice del 2000, n. 04
Letti nel loro insieme, questi racconti sono uno sguardo appassionato e dolente su Israele e insieme un viaggio affascinante nella scrittura di Yehoshua. Dei dodici racconti, quattro, ormai famosi - Di fronte ai boschi, Tre giorni un bambino, Il poeta continua a tacere e All'inizio dell'estate del 1970 -, erano stati già pubblicati negli anni novanta, a cura di Alessandro Guetta, prima da La Giuntina e poi da Leonardo, e recensiti sulle pagine dell'"Indice" (1990, n. 6; 1995, n. 7), altri erano apparsi in raccolte dedicate alla letteratura israeliana contemporanea.
I primi racconti, dal 1957 al 1962, narrano di un mondo in bilico fra fantastico e surreale. La tumulazione in La morte del vecchio, con la terra che viene gettata sul vecchio che si rifiuta di morire, il viaggio allucinato sulla corriera impazzita in Le nozze di Galia, "l'acqua alla gola" nel terribile Alta marea traggono la loro linfa vitale dal mondo di Kafka. Colgono una realtà che spesso sfugge alla comprensione, in cui l'onirico entra in modo inaspettato e imperativo: metafora per raccontare l'invidia per il diverso in un mondo di morti, la rabbia per i propri fallimenti esistenziali o l'abnegazione nell'esecuzione della legge. Sono racconti brevi, folgoranti, che aprono varchi sull'abisso, come in Il rapido serale di Yatir, in cui un intero paese prepara e realizza un disastro ferroviario pur di trovare un momento di senso nella propria esistenza fatta di ripetizione stanca e inutile di gesti quotidiani.
Ci sono alcune immagini, sensazioni che, chiuso un libro di Yehoshua, rimangono dentro e crescono misteriosamente: una di queste, come suggerisce Alessandro Guetta, è il tempo, quello atmosferico. Yehoshua parla di un Israele spesso avvolto dal nevischio, dal freddo, dal vento, dalla pioggia, fine, fastidiosa; non mancano le giornate di sole nella sua scrittura, ma sono altre quelle che segnano il racconto. In una terra calda, afosa, soleggiata, il ripresentarsi costante di un tempo inclemente diviene metafora della condizione dell'uomo, della sua difficoltà di vivere, di affrontare il quotidiano.Un Israele turbato, stanco, affaticato, dove la parola diviene difficile e la guerra lontana e imperscrutabile.
La presenza della guerra, o meglio di ciò che sta attorno alla guerra, è un'altra costante dei racconti di Yehoshua; non lo scontro, bensì la preparazione, l'esercitazione, la conferenza al fronte. La guerra combattuta diviene un'eco lontana, colpi sparati non si sa dove, missili puntati che appaiono come falli giganti. Una guerra difficile da comprendere in cui la vita continua a scorrere, i desideri non tacciono. L'ultimo comandante è il racconto più esplicito, più cinematografico e kafkiano, sul mondo militare. Una compagnia di riservisti perde progressivamente ogni spirito belligerante nelle esercitazioni militari; lo recupera per breve tempo con l'arrivo, quasi un'epifania, di un comandante iperattivo, macho e incomprensibile, che come arriva così sparisce in un addio-esortazione finale inudibile poiché coperto completamente dal rombo dell'elicottero.
Emozionanti e profondi, i racconti sono come sguardi strappati a una complessità che si vorrebbe possedere tutta. Le storie e i personaggi avvolgono il lettore in una complicità, una vicinanza che la brevità del racconto lascia sospesa. Si avrebbe voglia di continuare a seguirli questi uomini, poeti, guardiaboschi, eterni studenti, passo passo nella loto vita, nei loro gesti, nei loro amori. Questo avverrà nei suoi romanzi, in cui lo scorrere del tempo, la pluralità delle voci, la lunga gittata delle storie danno un respiro, un ritmo al raccontare di Yehoshua che è quello dei grandi narratori.
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