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Da una collana di sparsi microracconti, armonizzati con il filo rosso del romanzo, emerge la qualità dell’operazione narrativa di Vespa, abile nel fondere situazioni e temperature tra loro diversissime in un organismo in grado di miscelare euforia e dolore, orizzonti ampi e oggetti senza alone, il viavai dell’avventura e il tempo immobile di una conversazione. Giuseppe Amoroso
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«Un gatto bianco con la coda nera attraversa il cortile, si ferma, si guarda intorno, va a destra e a sinistra, ha il pelo dritto. Comincia l’abbaiare di un cane, diventa insistente, altri cani che abbaiano distanti. L’orologio di una chiesa batte due colpi. Si alza un vento improvviso, avvolge le piante. Il gatto corre e si arrampica su una palma, si nasconde tra i rami, lascia solo la cosa nera. Il tonfo di qualcosa che sbatte, del vetro che si rompe. Dal tetto volano via gli uccelli. C’è come un boato sotterraneo, e tutto trema da sotto i piedi. È il terremoto, una scossa». La prima pagina dell’ultimo libro di Marco Vespa, Tutte le sue grandezze (179 pagine, 12 euro), pubblicato dalla giovane casa editrice Il Palindromo, svela immediatamente la forza dirompente del fenomeno naturale che scuote la vita degli inquilini di Palazzo Calasparra, un’antica dimora di Catania rivolta verso il mare.
Il vulcano alle spalle non smette di fare tremare la terra, ma un altro fenomeno naturale scuote le mura dell’abitazione: l’arrivo della nuova inquilina, Marica Paradiso. Bella, affascinante, inquieta al punto da lasciarsi catapultare nella piccola comunità borghese del palazzo che non nasconde una certa «propensione al promiscuo». Punta gli occhi su Riccardo, l’architetto che riuscirà solo a “sfiorare”. L’eros, l’alcool e la droga sono i veri protagonisti delle serate che gli inquilini trascorrono insieme, gettando via la maschera del perbenismo e della pudicizia. Un aspetto del libro di Vespa che, per certi versi, sembra ricordare la borghesia raccontata da Moravia, ricca di personaggi che condividono le giornate senza affetto o trasporto reciproco; un piccolo mondo chiuso e asfittico dove possono trovare spazio solo i vizi.
Ciò che colpisce del libro è la cura con cui l’autore si dedica, pagina dopo pagina, alla descrizione dei luoghi e degli accadimenti che non può non coinvolgere, al punto che nella mente di chi legge si dispiegano le immagini descritte in modo chiaro, distinto, netto, come se fossero vissute in prima persona. La scelta delle parole non è certo causale: un linguaggio ricercato, curato che spesso accompagna gli stati d’animo dei protagonisti, mettendone perfettamente in luce le paure, i desideri, le sensazioni.
Nelle ultime pagine, poi, è impossibile non ripercorrere con la mente le descrizioni dell’autore che raccontano gli effetti devastanti di un terremoto che sembra voglia inabissare Catania. «Ogni isola attende impaziente di inabissarsi», l’epigrafe scelta da Vespa è una citazione del filosofo siciliano Manlio Sgalambro che sulla Sicilia scrisse la sua “teoria”, quella di terra che si sorregge sui flutti e sull’instabile. E sono proprio i flutti, onde del mare impazzite a cause del tremore della terra, che riusciranno ad avvicinare Monica e Riccardo nella ultime pagine del libro.
Con una prosa sagace, precisa, aderente alle cose e realistica, Marco Vespa rende anche memoria al terremoto del Val di Noto del 1693, ricordato come l’evento più forte della storia sismica italiana, la catastrofe di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia orientale. Grande protagonista del libro è un sisma che si permette il lusso di interrompere una festa «scandalosa». La scabrosità delle scene di eros descritte tra le pagine dimostrano solo la sincerità con cui Vespa, probabilmente, vuole denunciare la vacuità morale della società odierna.
Recensione di Arcangela Saverino
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