Definire che cosa sia il turismo rurale potrebbe sembrare di primo acchito semplice e forse inutile. L’espressione “turismo rurale” è apparentemente autoevidente, in quanto tutti hanno una conoscenza diretta, di prima mano, di entrambi gli elementi che la compongono: tutti, o quasi, sono o sono stati turisti; rurale è ciò che non è urbano, è la campagna in cui ci si trova quando si esce dalla città. Se si prova a passare a una definizione meno descrittiva e più analitica ci si rende conto di come la semplicità sia solo apparente. In anni recenti il turismo nelle aree rurali si è allineato agli altri tipi di turismo per quanto riguarda la durata della vacanza e la sua collocazione nell’anno, ed è praticato da un turista di età, livello di istruzione e disponibilità di reddito superiori alla media. Un turista che è mosso dalla ricerca di un “prodotto turistico” con caratteristiche ben determinate: fruizione estetica del paesaggio, contatto con la natura, interesse per le tradizioni culturali locali (in particolare quelle gastronomiche), ritmi slow nella pratica turistica e approccio friendly con i residenti. Rimane aperto il problema della sostenibilità di questo tipo di pratica turistica. È necessario sfatare l’idea che turismo rurale sia sinonimo di turismo sostenibile. Da una parte, il suo impatto è certamente minore di quello delle attività industriali decentrate o di quelle agricole di tipo industriale. Dall’altra, la sua impronta è molto più percepibile di quella degli altri turismi tradizionali, che si svolgono in luoghi già turisticizzati. È pertanto fondamentale che il turismo rurale gestisca il proprio sviluppo in modo sostenibile: la conservazione dei beni a valenza turistica può essere minacciata, infatti, da uno sviluppo eccessivo e incontrollato dell’attività turistica stessa.
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