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Non potevo proprio trattenermi da diversi entusiasmi: il primo, che finalmente è arrivato, ed è un libro bellissimo anche per come lo s'impugna, sfoglia e per l'odore che lascia... Il secondo, che è proprio il Forlani che conosco tramite internet: conciso ma mai scarno, verboso ma mai ridondante, fantasioso ma mai aleatorio, divertente ma mai frivolo, genuino ma mai enfatico. La penna segue elegantemente le fila di spassosi inghippi della fantasia che finiranno per entusiasmare e stupire, tutti però compitamente compilati per edulcorare con piacevoli suoni e melodie le orecchie assonnate dai rumori del quotidiano. In un solo uomo, in una sola opera, s'innestano così tante esigenze espressive che sarebbe cosa troppo ardua il solo elencarle tutte... L'autore merita un critico che si cimenti nell'ardua impresa, e che non trascuri d'identificarlo nel miglior Calvino, Buzzati, Landolfi e Manganelli. Eh sì, perché codesto intelligentissimo e spassoso autore tutto nostrano, non guarda al Fantasy internazionale con invidia: ai migliori tomi anglosassoni e teutonici, egli alza fiero una bandiera umile e testarda come solo sa essere la nostra, e con estrema leggiadria, la muove come solo un poeta sa fare, unendo tradizione e contemporaneità, istinto di cantore e trovatore a rigore estietico e contenutistico, sapori d'un'Italia antica a odori di nuove correnti di gusto e pensiero. E' un romantico che visita il seicento e che vi lascia in dono idee provenienti direttamente dal futuro... Questo lo dico con sole 14 pag. di lettura, ma non oserei scrivere tanto poco, se lo leggessi fino in fondo -e scrivere molto, sarebbe comunque troppo poco. PS: Forlani va pasteggiato come il miglior vino d'annata, per svariati motivi: 1) Non è bello che le cose belle finiscano subito. 2) Le cose belle vanno anche digerite. 3) E' giusto che Forlani occupi il vuoto di troppi posti maloccupati, e dunque che un suo libro duri quanto un centinaio di libri.
Davvero i cattivi delle favole sono cattivi perchè ci provano gusto? Oppure hanno anche loro qualche motivo superiore che li spinge a comportarsi nel modo che sappiamo, denigrati da ogni romanzo in cui siano mai apparsi? Tristano risponde a questa domanda, ma non nel modo più comune (ovvero ribaltando i ruoli in modo umoristico). In Tristano il burocrate è spietato, l'orco è violento, la strega è brutta e cattiva, i servitori del Male sono dei subumani puzzolenti. I mostri sotto sotto non sono "burberi ma gentili", sono proprio brutti e cattivi. Quello di Tristano non è un mondo "fantasy per esser fantasy", è ben più palpabile di una terra dai nomi esotici corredata di mappa. Fin troppo italiano, questo Regno. Anche grazie a questa vicinanza riesce a mettere in discussione i nostri giudizi consolidati (in ambito letterario!) in fatto di bene e male, eroismo e ideali, libertà e felicità. Nemmeno la vittoria è così facile e semplice in questo libro. Da leggere di getto e poi da rileggere con calma.
Una sola parola: GENIALE. Signore e signori, basta col "buonismo" tipico del fantasy. Ora l'orco spacca la faccia all'eroe venuto ad ucciderlo, e le ferite riportate nei combattimenti spesso si infettano. Non ci sono castelli fantastici, ma solo vecchi palazzi bui e fatiscenti. Non c'è coraggio, ma codardia e viltà. La bellezza è deplorata, mentre la deformità viene esaltata. E sopratutto vincono i cattivi. Se non ci credete, andate in libreria e leggetevi il primo capitolo: in poche pagine il fantasy classico viene preso ed impiccato alla trave di una stamberga. Ed allora capirete che avete tra le mani qualcosa di unico.
Recensioni
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Nel Regno la libertà di coscienza e di fare progetti è negata. Ciò è deciso affinché nessuno soffra; ma, pure, affinché nessuno metta in moto la storia, ferma da sessant'anni all'ordinamento paraplatonico che vede i Grandi Avvilenti – cioè i sacerdoti della dissoluzione delle speranze – al vertice del regime morale e, subito sotto di loro, i guardiani del Regno, gli Uominineri; infine la gran massa dei popolani: contadini, pescatori, artigiani. Tristano è un Grande Avvilente, si reca in missione nei territori di sua competenza, accompagnato da Otre, l'Uomonero che lo affianca, per svolgere il compito più alto e sacro: denutrire le speranze, sgonfiare le gioie, calpestare la volontà. Perché, dice, la vita fa male, poi ti tradisce, le illusioni crollano, e a nessuno venga in mente di maturarne. E tuttavia nel Regno qualcosa si muove: piccoli centri si ribellano un po' dappertutto, gli Eroi del popolo sorgono qua e là, belli, biondi, con gli occhi azzurri.
Forlani crea un secolo XVII alternativo e la lingua barocca adatta a descriverlo: ogni soggetto, oggetto o atto è iperdefinito, semanticamente isolato in gabbie fatte di molteplici termini; spesso l'azione è descritta da più verbi che si inseguono senza vocaboli intermedi; la scomparsa delle virgole tra i sostantivi disposti in lunghi elenchi disegna paesaggi dove non esiste il vuoto.
Dunque Tristano è sì narrativa fantastica, avventura, ma è insieme ricerca stilistica, la scommessa di un romanzo di genere che sia letteratura come sperimentazione. Forlani abbandona ogni prevedibilità: i protagonisti sono i cattivi, ma non è detto che i buoni siano buoni davvero; alle esclamazioni epiche e ai sussurri cortesi di molta fantasy si sostituisce qui il turpiloquio degli Uominineri, la lingua veloce dell'avventura lascia il posto all'intensità, l'estensione alla pregnanza, i colpi di scena continui a una trama nella quale non accade tantissimo, ma tutto ciò che accade ha la fisionomia, più che di una disavventura accidentale, di un cataclisma cosmico; alla vuota descrizione di gesta e ambienti Forlani preferisce piuttosto la riflessione sui sentimenti, sui bisogni, su come è fatto l'essere umano, una riflessione che si trova proprio là dove non ce la si aspetterebbe: nel personaggio di Agnes, protagonista segreta, personaggio che vive in perenne stato critico, povera, alcolista, omosessuale, e insieme sorta di mistica fedele al Regno, pronta a morire per il Regno più di quanto non lo siano i suoi stessi rappresentanti; o nella tana degli Uominineri, bambini deformi che i genitori affidano al Regno ricevendo in cambio denaro che paga non il figlio, ma la vergogna del loro gesto, e che saranno cresciuti con amore da parte dei loro istruttori, Uominineri anch'essi, che insegnano a valorizzare le deformità, farne punti di forza.
Difficile non rinvenire un'intenzione simbolica nella composizione dell'ordinamento sociale e nello scontro tra il Regno e gli Eroi. La stessa affabulazione senza tregua esprime l'esplosione delle centinaia di potenze individuali, tra le quali nessuna si ritrae per fare spazio all'altra, in una sorta di spinozismo privo di salvezza, in un mondo dove ogni ordinamento possibile, ogni associarsi per via di metafisiche, ideologie e interessi comuni, favorisce la fioritura di determinate forme di vita, che esultano innocenti e spietate mentre altre sono escluse o schiacciate. Soffia forte, dalle pagine di Tristano, un vento di pessimismo e insofferenza verso ogni forma di potere.
Jacopo Nacci
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