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Se vi picciono le storielle senza capo né coda, questo è il libro che fa per voi. Schulze è uno che sa scrivere, ma scrive cose incomprensibili (almeno per me): forse non sono all'altezza... Anche se leggo di tutto e di più da 50 anni. Mi ricorda un po' il Belyj di "Pietroburgo": forse non è un caso che entrambi scrivano della stessa città!
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"Quando i comunisti furono mandati via e ancora governavano i democratici, alcuni se la passarono meglio, molti perfino peggio di prima. Tanti però non sapevano come avrebbero superato i giorni e le settimane a venire."
Luogo dei 33 racconti, attimi di una felicità inesistente, è San Pietroburgo, una città che tutta la tradizione letteraria russa aveva posto al centro della propria produzione, diventata in questo secolo, e nell'immaginario occidentale, un luogo della scrittura e dell'arte. Molto recentemente invece i reportage giornalistici, i filmati e le testimonianze di viaggiatori e inviati, ci parlano di una realtà disgregata, di miseria tangibile, di droga e di mafia. Le due contrastanti visioni di un unico luogo sono presenti nell'ultimo libro di Ingo Schulze: la prima attraverso citazioni e rimandi, la seconda nella spietata e angosciante rappresentazione della quotidiana disperazione russa.
Le storie (in alcuni casi veri e propri flash, in altri narrazioni più complesse e ampie) parlano di uomini e donne che si rapportano con un narratore tedesco di cui Schulze, con un pretesto letterario di certo non nuovo, finge di avere ritrovato gli appunti. È attraverso lo sguardo di questo "straniero" che si susseguono immagini di miseria e di follia, di violenza e di deviazione così da comporre il quadro di una disgregazione sociale ed economica, specchiata nella disgregazione stessa delle personalità.
Non stupisce quindi che un personaggio assoldi una giovane donna per rassicurare la madre morta sulla sua buona riuscita nella vita, "noleggiandola" per una visita al cimitero: la morte, nella decomposizione di corpi ancora vivi non è così scissa dalla vita. E la mafia è guardata attraverso gli occhi eccitati del killer con la stessa naturalezza con cui vengono descritte le fiabe narrate da una giovane madre alle proprie bambine o la disgustosa riconoscenza di una vecchia mendicante.
Se l'incertezza e lo smarrimento esistenziale della Germania, soprattutto quella dell'Est, dopo la riunificazione è la chiave di lettura del precedente volume di Schulze, Semplici storie, in questi racconti la situazione appare più tragica, così come più lacerato è il mondo dell'ex Unione Sovietica. Il grottesco e il sarcastico che l'autore, con una scelta stilistica che rimanda a Cechov o a Gogol, utilizza è una modalità che va alternando alla crudezza pulp recuperata dai giovani narratori russi, prima di tutti Vladimir Sorokin e Viktor Pelevin, ma senza cercare (come parte della critica italiana ha invece notato) l'emozione, anzi con la freddezza e il distacco del cronista. Eppure la "felicità", citata nel titolo, è un'aspirazione reale, forse come appunto ha scritto in La vita degli insetti Pelevin. "Perché qui intorno tutto diventi letame, bisogna avere un Io. Allora il mondo intero sarà nelle tue mani. E tu lo spingerai in avanti." Il baratro per risorgere insomma: un mondo che si pensava nuovo e libero, in realtà si è dimostrato "letame", ma imparando faticosamente ad emergerne è ancora possibile una speranza.
A cura di Wuz.it
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