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Poemetto in versi liberi, suddiviso in trenta sezioni, in cui l'autore esprime indignazione e dolore per lo stato attuale in cui versa l'Italia, sia in ambito politico sia in quello civile. Partendo ironicamente dallo stereotipo che decanta il nostro paese come sede di bellezze naturali e artistiche inestimabili, subito arriva alla constatazione malinconica di un presente miserevole e stigmatizzabile:"Oggi Italia è al fioco bagliore di disperse candele / piagnucolosa statua di marmo scapotizzato". A questa visione umiliante di un paese corrotto e incapace di risorgere, Roversi oppone il ricordo nostalgico della lotta partigiana e dell'impegno postbellico che lo vide protagonista entusiasta e ribelle. Quale può essere, oggi, il dovere di un intellettuale davanti agli scandali quotidiani, alle ruberie e ai trasformismi, agli attentati, alla mafia che nemmeno eroi come Falcone e Borsellino riuscirono a vincere, al colpevole disinteresse di chi favorisce l'incuria, la cementificazione, l'inquinamento che ammorba le nostre terre? Nello stile quasi declamatorio tipico della poesia civile, punteggiando il tono epico e risentito dei suoi versi con inserzioni prosastiche tratte dalla stampa giornalistica o con affermazioni proverbiali e luoghi comuni, utilizzando metafore rapinose, Roversi a quasi novant'anni ("ho / Italia ottantotto vipere fra i capelli") incitava ancora alla ribellione, alla non rassegnazione: "Fuoco di parole / e guerra sia". Pur consapevole che il nostro è un "Giardino dei ciliegi / diventato foresta frequentata da nani", senza più il conforto di lucidi e coraggiosi intermediari (quali Sciascia, Calvino, Pasolini, Fortini, Volponi, Vittorini), Roversi si è addormentato cinque anni fa con una flebile speranza, e una domanda rivolta all'Italia ormai orfana di illusioni:"Chi vincerà le tue battaglie? / Ancora una volta per te? / Il futuro ti aspetta..."
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