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«Il grasso allora le gridò: invece di star lì a farci vedere le mutandine belle, il lunapark, il paradiso bello, perché non vai un poco anche tu, in Svizzera, che ci vanno tutti, e ci guadagni un po' di soldi? Un pensierino per tua madre potresti farlo no? Abbi pazienza! che a trent'anni è nonna, a sessanta sarà quadrisnonna e a novanta com'è che si dice? sesnonna? scommetto che non c'è nel dizionario. Non farla morire prima del necessario con la scusa che non c'è nel dizionario».
Cinquant'anni fa, con la fine della guerra, anche la Svizzera neutrale spezza il suo guscio. Europa erigenda est, e il piccolo e intatto paese alpino, ansioso di rifarsi, apre le porte ai lavoratori italiani. E alle «femmine» d'Italia: sui treni stracarichi delle italiane un bigliettaio ne raccoglie i frammenti di vita, le storie della Ludo, della Volpina, della Lisetta prima e seconda. E della Marina, concepita - il caso vuole - proprio in treno. Treni del desiderio, quello di riscatto delle serve d'Italia e quello che suscitano attorno a loro. Al centro un intermediario, un «malossero» che smista e amministra il traffico di speranze lavori e corpi, strappa alla merce esose percentuali del loro onore, calpesta grumi di amori più forti di lui, e soprattutto più forti del figlio.Graffiante e mimetico, il romanzo di Giovanni Orelli colpisce per l'armonia che sa suscitare tra la «pietas» di un racconto che si fa omaggio al dolore e la crudezza di una cifra linguistica di rara originalità e freschezza.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Probabilmente non è la lettura sociologica, quella da privilegiare nell'accostarsi a questo testo. Certo, Orelli rimane uno dei pochi scrittori in lingua italiana per cui si può parlare di letteratura civile, lui che proviene e anima quell'estrema, privilegiata provincia portofranco del nostro paese che è il Canton Ticino; a cavallo tra due culture spesso in antagonismo, ne patisce le contraddizioni di interprete in bilico tra critica appassionata e solidarietà, e insieme possiede quel distacco che gli permette un'analisi intellettuale sempre feconda. Così è soprattutto il dato di partenza di questo romanzo, ambientato nel Ticino del dopoguerra, a potersi fregiare di un'interpretazione impegnata, politica. Io narrante è un bigliettaio della linea ferroviaria che attraversa la Svizzera da sud a nord, trasportando emigrati dal Meridione o dal Veneto, lavoratori carichi di storie e di Storia, che arrivano pieni di ansie e di desideri in un paese risparmiato dalla guerra e dalle sofferenze, e forse per questo più superficiale e più crudele. Alla voce del ferroviere (che oltre alla sua funzione professionale svolge anche quella di umanissimo consigliere-confessore di chi viaggia) si affiancano o sovrappongono altre voci narranti, secondo uno stile proprio di Orelli, e già sperimentato altrove. Come in un labirinto di divagazioni, associazioni più o meno volontarie, episodi e personaggi si incastrano tra loro, esibendo sempre una propria necessità. E da puzzle pieno di figurine mordilliane, le pagine si vanno man mano trasformando, ai nostri occhi incuriositi e ammirati di lettori, in un gioco di scatole cinesi per poi sciogliersi invece in una specie di affresco corale, che ha qualcosa dell'arte puntuale ed epica del pittore elvetico Ferdinand Hodler. Giovanni Orelli sa farsi caleidoscopico cantore di una storia collettiva, e anche offrirci sapori di una Svizzera valligiana molto concreta, con le sue navi le sue erbe i suoi doganieri rudi e pudici.
Recensioni
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Cinquant'anni fa, con la fine della guerra, anche la Svizzera neutrale spezza il suo guscio. Europa erigenda est, e il piccolo e intatto paese alpino, ansioso di rifarsi, apre le porte ai lavoratori italiani. E alle «femmine» d'Italia: sui treni stracarichi delle italiane un bigliettaio ne raccoglie i frammenti di vita, le storie della Ludo, della Volpina, della Lisetta prima e seconda. E della Marina, concepita - il caso vuole - proprio in treno. Treni del desiderio, quello di riscatto delle serve d'Italia e quello che suscitano attorno a loro. Al centro un intermediario, un «malossero» che smista e amministra il traffico di speranze lavori e corpi, strappa alla merce esose percentuali del loro onore, calpesta grumi di amori più forti di lui, e soprattutto più forti del figlio.
Graffiante e mimetico, il romanzo di Giovanni Orelli colpisce per l'armonia che sa suscitare tra la «pietas» di un racconto che si fa omaggio al dolore e la crudezza di una cifra linguistica di rara originalità e freschezza.
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