Gli ebrei desiderano oggi difendere solide, antiche certezze. Non riescono tuttavia a nascondere la nuova insicurezza post-genocidio. I muri di pietre e mattoni non ci sono più, ma si sono rinchiusi da soli entro nuove mura. Il tradizionale ebreo postbellico è ora un "frequentatore" di ambienti urbani estranei alla tradizione. Pochi se ne rendono conto, ma gli ebrei della diaspora hanno ormai molto in comune con altre minoranze a rischio, pronte a scomparire. Molti ebrei non praticano più, mentre molti non ebrei vorrebbero convertirsi ma vengono inspiegabilmente ostacolati dalla stessa comunità. Gli ebrei sono "a rischio" ma non accettano i "nuovi ebrei". Il "ghetto" rappresenta per le comunità diasporiche la realtà più sicura, e soprattutto la riappropriazione delle proprie radici. Chi potrebbe davvero rimpiangere la segregazione fisica, la miseria, i cancelli, le guardie, il segno giallo sugli abiti? Forse gli ebrei stessi. Questa la provocatoria e paradossale tesi del libro. Lo sguardo disincantato, impietoso di Gennazzano non cede mai al cinismo, ma ci racconta dall'interno un mondo che sembra attaccato da fattori esterni ma in realtà ha proprio nell'integralismo il suo peggior nemico.)
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