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Recensioni Le trecce d'oro dei defunti

Le trecce d'oro dei defunti di Alan Bradley
Recensioni: 4/5
Durante la festa di matrimonio di Feely, viene ritrovato, affondato nella crema dell’imponente torta nuziale, un dito anulare mozzato. Flavia de Luce – la ragazzina con «il dono del ragionamento deduttivo» e sorella della sposa – grazie alla sua perizia di chimica inizia a indagare. Aiutata dal maggiordomo Dogger, risale alla fonte: il dito proviene dal cadavere della celebre chitarrista spagnola Adriana Castelnuovo, da poco tempo sepolta. Il mistero solletica la ragazzina: chi ha strappato quel dito che fu capace di sognanti melodie? C’è qualcosa di simbolico nella mutilazione? E com’è che è finito nella torta? A complicare le cose, irrompe Anastasia Brocken Prill che incarica Flavia e Dogger di ritrovare delle lettere scomparse. È la corrispondenza del padre di lei, il famoso dottor Brocken, omeopata un tantino stregone. Ma la signora si dimostra reticente e, ben presto, viene trovata morta, probabilmente avvelenata da qualcosa di simile al caffè. Flavia, grazie agli strumenti del suo attrezzatissimo laboratorio, chiarisce che si tratta della fava del Calabar, un chicco esotico, raro e velenosissimo, arrivato in quell’angolo di campagna chissà come. C’è un filo che forse collega il dito di Madame Castelnuovo, l’assassinio di Anastasia Prill e l’attività silenziosa del dottor Brocken che vive appartato in una lussuosa casa di cura. Nelle sue scorribande Flavia incontra e conversa con decine di personaggi, caratteristici di un tipico villaggio inglese di campagna come Bishop’s Lacey. Ma il cuore della sua vita sociale è il vecchio maniero in rovina di Buckshaw: le sorelle Feely (che bada solo all’amore) e Duffy (pozzo di scienza libresca), il saggio Dogger, la cuoca signora Mullet dal linguaggio fiorito, il tollerante ispettore Hewitt.)
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