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Un libretto minimo che però è capace di veicolare poeticamente le emozioni dell'autore, in particolare a me che quei luoghi li ho visitati e amati. Con poche pennellate sognanti e "fumate" (l'autore non nasconde affatto la cosa, spinelli e chillum sono frequenti nella narrazione) ci si cala in quei posti, tra quelle persone, in quelle situazioni senza tempo. Credo infatti che la storia si riferisca a qualche decennio addietro, ma in India il tempo scorre più lentamente che altrove. Forse meritava una stellina in più per tutto questo, ma è un libro davvero troppo breve per dargli di più. Graziosi i disegni, aggiungono un po' di sogno al sogno.
Ventenne, durante un pellegrinaggio laico in India, l’autore si era imbattuto per caso al Crown Hotel di Delhi in un coetaneo milanese, Pietro Spiga: entrambi reduci da un altro tour iniziatico negli Stati Uniti, erano partiti insieme alla volta del Nepal. Dario poi, ammalatosi di malaria, era stato ricoverato in ospedale a Calcutta, quindi aveva raggiunto da solo Madras, iniziando a scrivere un resoconto dei suoi inquieti, affascinati, illuminanti itinerari fisici e mentali. Tornato in Italia, aveva chiesto all’amico Pietro di illustrare con disegni a china le sue narrazioni, e tali schizzi (incorniciati in quadri neri ‒ punteggiati, zebrati, stellati, animati da facce paesaggi animali vegetali) sono riprodotti nell’edizione romana di Exorma. L’intero mese di ottobre passato girando da una città all’altra, a piedi, in treno, in corriera, su ferryboat e barconi; incontrando i personaggi più incredibili provenienti da ogni parte del mondo; ascoltando musica orientale monocorde; fumando hashish e mangiando funghi allucinogeni, che producono in testa “tante storie sconnesse, come un film muto impazzito”; cibandosi di vivande piccanti e bevendo intrugli alcolici; leggendo e citando brani e poesie occidentali, oppure recuperando miti, leggende, divinità indù (Shiva, Kali, Parvati, Zarathustra, Ganesh, Krishna) indicanti nuove strade da percorrere, nuove mete intellettuali da raggiungere. A ragione Valerio Magrelli nella prefazione scrive che Borso nel suo diario ha inteso coscientemente privilegiare l’aspetto visivo delle descrizioni. Mare, spiagge, deserti, giardini, templi, città caotiche e affollate. Donne e uomini mezzi nudi o avvolti in vesti variopinte. Frutti, animali minuscoli o enormi. E un’avventurosa Sylvie francese da amare con dolcezza, “s’il vit”. Un turbinio di percezioni, suoni odori visioni che si accavallano, insieme alle parole, stordenti. Eppure, in questo vortice di impressioni, viene mantenuto uno stile composto, limpido, curato e quasi classico.
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