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Il corpus tragico di Lucio Anneo Seneca – che consta di nove opere, cui un codice ne aggiunge una decima, l’Ottavia – ha esercitato nella storia del teatro drammatico un’influenza che a tratti è risultata egemonica. Nel XVII secolo Seneca è il maestro della scena tragica, in Italia come in Francia, in Spagna come in Inghilterra. Leggono le sue tragedie, e ne traggono nutrimento, Shakespeare e Racine. E già per gli elisabettiani le opere di Seneca erano una lettura imprescindibile, come riconosce Eliot. Segue un periodo di eclissi, durante il quale prevale un giudizio limitativo, con accuse di enfasi retorica e di impraticabilità scenica. Ma nel nostro secolo, grazie ai grandi registi (Artaud, Peter Brook, Ronconi), quel pregiudizio è caduto e le tragedie senecane sono state restituite alla posizione che loro compete nel panorama della drammaturgia di ogni tempo, nel quale spiccano per la loro crudeltà, la loro inquietudine, e per il contrasto, che il linguaggio splendidamente riflette, tra gli imperativi della “ratio” e il grido della passione. (Vico Faggi)
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