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Libro nostalgico, con il quale Cancogni ci riporta nell’Italia del 1946, un Paese ferito, lacerato, impoverito ma ansioso di rialzarsi e superare la tragedia della guerra. Tra i simboli di questa volontà di riscatto vi fu il Grande Torino, orgoglio del calcio e dello sport italiano, compagine talmente mitizzata già all’epoca da persuadere il giovane scrittore ad affrontare una lunga pedalata fino a Livorno per ammirarne le decantate gesta. Cancogni inforca la bicicletta a Fiumetto, percorre oltre 70 km sulle polverose strade toscane - in condizioni di semi-abbandono dopo gli anni bellici - e giunge allo stadio nel quartiere labronico di Ardenza, in tempo per assistere all’ennesima prova superba di Mazzola e compagni. Il rievocare quell’avventuroso viaggio offre il destro a Cancogni per colorite divagazioni, con la mente che torna alla Roma anni ’50, alle partite tra amici a Villa Borghese (tra loro Giorgio Bassani) e soprattutto al pionieristico football degli anni ’20, periodo in cui assi come Libonatti, Hirzer, Schiavio e Baloncieri accesero la sua passione per il pallone dando vita a tornei emozionanti e conditi da roventi polemiche, evidentemente già irrinunciabili nel nostro campionato. Lettura che scivola via rapida, leggera, omaggio sentito ai leggendari fuoriclasse granata e ad un’Italia ormai lontana, il cui ricordo è da serbare nella nostra memoria collettiva.
Un giovanotto di 96 anni ricorda il viaggio fatto quando ne aveva 30, subito dopo la guerra, in bici per 130 chilometri per vedere giocare il grande Torino. E da lì partono una serie di ricordi sul calcio che non c'è più.
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