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SORIA, PIERO, L'incarico, Mondadori, 1995
GAMBAROTTA, BRUNO, Torino, Lungodora Napoli, Garzanti, 1995
recensione di Bertini, M., L'Indice 1995, n. 7
recensione pubblicata per l'edizione del 1995
La letteratura d'avventura obbedisce da sempre a due vocazioni contrapposte: la prima la orienta verso scenari sontuosamente irreali, dal castello di Dracula alla megalopoli di "Blade runner". La seconda avverte invece il fascino della quotidianità e della cronaca: pensiamo ai retrobottega dove Maigret inchioda alle loro malefatte i borghesi più insospettabili, o alle lavanderie e alle scuole serali in cui Scerbanenco fa esplodere le più efferate violenze. È in questa seconda tradizione che si inseriscono i due thrillers di Piero Soria e di Bruno Gambarotta, entrambi torinesi ed entrambi operanti; non a caso, nel mondo del giornalismo. "L'incarico" tiene il lettore sospeso a due domande centrali: riuscirà il protagonista - un ex agente del Sisde richiamato in servizio per oscuri motivi - a scoprire i retroscena della trama in cui è invischiato, e a salvare la pelle? E l'ex moglie, cui lo lega un nodo complesso di rancore e di passione, è una dark lady pronta a pugnalarlo alle spalle, o è destinata a ricongiungersi per sempre con lui? Sullo sfondo, l'Italia degli anni ottanta e novanta: i rapporti tra mafia e politica, i pentiti, i suicidi eccellenti e lo scontro mortale tra Sisde e Sismi per un patrimonio d'informazioni che consente a chi lo detiene di ricattare l'intera classe al potere. Il ritmo incalzante impedisce al lettore di rilevare, in questo colorito mosaico, l'assenza di una tessera non inessenziale; una sola, ma determinante. È la tessera che dovrebbe consentire di collegare il passato e il futuro, le trame di Licio Gelli e la gestione del potere nella Seconda Repubblica; parlo, naturalmente, della tessera della loggia P2 intestata a Silvio Berlusconi. Senza questo elemento, e il suo contesto, la ricostruzione resta un po' indecifrabile: racconta più una metafisica lotta per il potere, che non la verità di questi anni convulsi.
È invece proprio la verità di una città di oggi, l'"aspra verità" cara a Stendhal, quella che troviamo in "Torino, Lungodora Napoli" di Bruno Gambarotta. La verità dei mercati generali alle cinque del mattino, dei lungodora squallidi, dei bar equivoci, ricreata con un iperrealismo essenziale. Ma questa verità dei luoghi e dei fatti non è ancora la cosa più notevole del romanzo: la più notevole è una sorta di "dizionario di luoghi comuni" che scandisce e accompagna l'intreccio dagli inizi alla fine. Il racconto della vicenda "gialla", rispecchiato così nei commenti di una Torino piccolo-borghese e benpensante, acquista una singolare dimensione corale e si trasforma nel memorabile ritratto frammentario di una realtà sociale frammentatissima.
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