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Straordinariamente elegante e avvincente: un inno al perdono, all'amore e alla vita!!!
L'ho letto per puro caso, anche se non è il mio genere preferito, solo perchè sono stata attratta dal titolo. Non me ne sono assolutamente pentita! Stile molto descrittivo ma non pesante, trama un po' triste ma molto gradevole, discreto intreccio di fatti e personaggi.
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All'inizio del romanzo Tobie è un bambino di cinque anni che sfreccia su un triciclo rosso sotto la pioggia, gli occhi colmi di visioni confuse e spaventose, alla ricerca del diavolo che gli ha sottratto la madre, morta quello stesso pomeriggio durante una passeggiata a cavallo nel paesaggio fiabesco del Poitou, "dove, sotto la terra vegetale, dorme un'altra terra, griogioazzurra, tutta impregnata d'acqua e di memoria oceanica". Lo sguardo smarrito di Tobie ci introduce alla storia di una famiglia già colpita da un intero secolo di miseria, sventure e lutti, che gli antenati hanno fronteggiato con silenziosa tenacia, aggrappandosi alla regola umile del lavoro manuale e ai riti arcaici di una religione divenuta nel tempo sempre più misteriosa.
La principale depositaria di tale memoria è la bisnonna Déborah: il suo canto e i suoi racconti in lingua yiddish celebrano il culto dei morti e assicurano la sopravvivenza della radice ebraica della famiglia, fuggita dalla Polonia ai primi del secolo e giunta nella regione delle paludi dopo lunga peregrinazione.
Il romanzo, ampiamente ispirato al Libro di Tobia , racconto biblico sulla "sofferenza dei giusti", integra a tale fonte numerose allusioni alla Shoah , tracciando un affresco esaustivo delle prove subite dal popolo ebraico e suggerendo una più generale riflessione sul senso del dolore e della perdita. L'operazione di riscrittura e attualizzazione del testo sacro non appare mai artificiosa. Solo a tratti è gravata da qualche passaggio troppo esplicativo. Alcune delle immagini più intense del romanzo si devono comunque all'invenzione dell'autrice, particolarmente sapiente nel tratteggiare la corrispondenza sensuale tra i personaggi e la natura che li circonda, generosa di segni ed epifanie.
L'autrice sviluppa in modo altrettanto convincente il tema del confronto tra identità e alterità, descrivendo il processo di integrazione tra la memoria delle origini e le diverse tradizioni che la famiglia accoglie durante la sua erranza. La capacità di calare una vicenda dai tratti mitici in un contesto verosimile dal punto di vista storico e sociologico convive nel romanzo con l'intento di sondare il mistero spirituale dell'esistenza attraverso i procedimenti tipici della letteratura fantastica: gli eventi paiono sospesi in una dimensione senza tempo, satura di dettagli realistici ma pervasa di meraviglioso, molto prossima alla fissità straniante del realismo magico.
L'effetto d'incanto fiabesco è rafforzato dall'uso di una lingua poetica e ricercata che, nutrita dal modello biblico, predilige termini desueti. Il piacere della narrazione trapela dalla prosa di Sylvie Germain, sempre restituita con sensibilità dalla traduttrice Fernanda Littardi, confermando l'idea che l'atto di raccontare, come suggeriscono i protagonisti del romanzo, salvati e commemorati da canti, litanie, versi lirici, storie sacre e leggende popolari, sia il solo modo di opporsi a un fato avverso e in apparenza immutabile. Il romanzo, fitto di eventi cupi, forieri di smarrimento e follia, può dunque chiudersi sull'immagine di Tobie, ormai adulto e iniziato all'amore che, volteggiando in una danza col padre, "ride per scacciare ogni minima voglia di gridare, di piangere, di giudicare. Ride in consonanza col valzer, con brio e grazia".
Annalisa Bertoni
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