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Magari non è la cosa più importante della vita, ma l'intestino è talmente presente nella quotidianità dei vecchi, che finiscono per farvi entrare tutto oltre il cibo: dall'esercizio fisico agli esercizi spirituali. È comprensibile, e perfino giusto. Accade un po' lo stesso con il computer, includendo tutti i dispositivi e supporti - dal computer in senso proprio ai cd-rom ai dvd a internet e quant'altro - della "rivoluzione digitale". È talmente presente nella nostra vita d'ogni giorno, che tutto finisce con l'entrarvi dentro. Compreso il teatro, ci dicono Maia Borelli e Nicola Savarese nel loro Te@tri nella rete .
Il libro costituisce un filo d'Arianna prezioso e accurato per non perdercisi dentro. È così stimolante nella proposta - tutta la molteplice area d'intersezione tra teatro, per chi lo fa e per chi lo studia, e nuovi media - talmente ben organizzato e utile, soprattutto per chi ancora sia legato alla civiltà della pagina scritta, che posso subito sollevare l'obiezione ingenua, senza timore d'essere accusato di disfattismo. Certamente gli autori l'avranno fatto, prima di me. Il teatro, dico - non le tecniche acustiche e d'illuminazione, le protesi per amplificare la prestazione dell'attore, gli accessori e le varie macchinerie di scena - proprio il teatro nella sua essenza, come può entrare nel computer?
Essendo oeuvre d'art vivant , tale lo proclamava il libro di fondazione di Adolphe Appia, non può fare a meno della presenza fisica dell'attore. Paradossalmente, è quando il computer entra nel corpo dell'attore e non, viceversa, il corpo dell'attore nel computer: è solo in un caso del genere che si può parlare di cyberteatro. Nel capitolo La difficile scelta tra Eco e Narciso , Maia Borelli descrive le performance di artisti come Stelarc, Orlan, Marcel.li Antunez Roca. Stelarc manovra la sua terza mano bionica, che crea un cyborg "più adeguato alle esigenze della nostra iperattività quotidiana". Orlan, mentre legge testi di filosofia e di psicanalisi, in anestesia locale si sottopone a operazioni di plastica per farsi simile a celebri opere d'arte, annullando così "la distanza tra lo spettacolo e la vita". Forse è nell'aspirazione a diventare simili tutt'al più alle veline televisive, che sta la mediocrità della chirurgia in diretta di Bisturi. Marcel.li Antunez Roca, fino al 1989 membro del gruppo La Fura dels Baus, ha poi presentato una performance in cui gli spettatori possono, mediante meccanismi pneumatici, deformare parti del corpo del performer: naso, pettorali, bocca e orecchie. Il computer entra materialmente nel corpo, e ne modifica l'esperienza dall'interno da parte dell'attore e l'esperienza dall'esterno da parte dello spettatore.
Non c'entra con Artaud - che, povero Artaud, viene chiamato in causa ogni volta che a teatro compare un po' di sangue -, ma è certo che con le performance alla Stelarc o alla Orlan o alla Antunez Roca il computer dilata i confini fenomenologici e perfino ontologici del teatro. In tutti gli altri casi - enhanced theatre , web-theatre , performance online : teatro potenziato dalla tecnologia digitale, spettacoli che utilizzano la presenza remota o ambienti e dispositivi dei giochi di ruolo online, secondo la tipologia proposta da Borelli - è solo d'un ampliamento dei confini dello spettacolo che si tratta. Teatro e spettacolo sono cose profondamente diverse, il Novecento l'ha chiarito in maniera definitiva.
Non tutti i teatri sono spettacolo (e viceversa) titola, infatti, Nicola Savarese il lungo capitolo conclusivo. Dopo aver descritto in un capitolo precedente le Trame del teatro off (line) - con una storia dell'ipertesto, tra l'altro, che è un piccolo romanzo appassionante oltre che istruttivo - qui Savarese presenta una storia del teatro del Novecento, con le necessarie premesse cronologiche, in rapporto alla macchina. Il vettore di questa storia è, secondo Savarese, un continuo passaggio di testimone nella "staffetta dei media": "stampa, fotografia, teatro, cinema, radio, televisione e ora internet". Ma il passaggio di testimone si può intendere alla lettera come in una vera staffetta, in cui la corsa che viene dopo è la stessa corsa che c'era prima; oppure per traslato come in una regata al giro di boa, in cui la corsa che viene dopo può essere il contrario di quella che c'era prima. Nel passaggio dal tratto di poppa a quello di bolina, la corsa prosegue, è vero, ma a rovescio. Il vento in poppa diventa l'ostacolo contro cui battersi.
La supermarionetta di Craig può essere vista come il seguito dell'automa? Sì, purché si ragioni nella prospettiva d'una regata. L'aspirazione dell'automa è essere quanto più simile a un corpo umano, non essendo un corpo umano. L'aspirazione della supermarionetta fu di essere quanto più dissimile da un corpo umano, essendo un corpo umano. Esattamente il rovescio.
È come se il teatro, e tanto più quanto più avanzata ne suoni la terminologia, rivendicasse la sua natura arcaica. O meglio, originaria. Dice "supermarionetta" ma non pensa a un automa super, pensa a un corpo capace di superare l'automa proprio in quanto non rinuncia alla sua condizione di corpo. Dice "attore biomeccanico" - ed è il grande Mejerchol'd stavolta a parlare - ma non pensa alla meccanica, pensa a un bios il cui processo abbia la giustezza e l'affidabilità d'un meccanismo. La perfezione e l'imperturbabilità della macchina ebbero la forza di un'utopia in quanto pensate come qualità dell'organismo umano; altrimenti - pensate di per sé - avrebbero avuto al più l'attrattiva d'un prodotto ad alta tecnologia.
Savarese intitola due paragrafi Dagli automi alla supermarionetta e Se tutto è meccanico , l'attore è biomeccanico, ma che la supermarionetta non sia un superautoma e che l'attore biomeccanico tutto sia meno che meccanico, gli autori di Te@tri nella rete lo sanno bene. Non è detto che altrettanto bene lo sappiano i loro lettori. Li prevedo numerosi, e li immagino soprattutto giovani. Per loro è facile confondere originario con vecchio. E teatro, che è irriducibilmente arcaico, con spettacolo: che, come ogni altro prodotto d'arte, tende al postmoderno.
Spaccare il capello in quattro non fa simpatia, e magari rischia di far perdere qualche lettore. Ma nel teatro tecnica ed etica si confondono se non le si tiene ben distinte l'una dall'altra. Il rischio sennò è che qualche lettore sprovveduto al giro di boa non riconosca il vento e, pensandolo ancora a favore, si faccia travolgere dal soffio contrario.
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