Non amava scrivere libri, ma è stato ossessionato dalle parole. Le usava con attenzione maniacale. È stata probabilmente a personalità di teatro più influente del secondo Novecento. Per tanti, Grotowski è stato un maestro, e non solo per quel che riguarda l'arte scenica. Anche dopo aver lasciato il teatro, ha continuato a incidere su generazioni di teatranti e di studiosi, con la sua presenza, con le sue parole d'ordine, con la sua attività "parateatrale". Dobbiamo ancora finire di fare i conti, con lui. Sul peso di questo libro non c'è bisogno di aggiungere altro: è un evento. È presto per dire se cambierà il sapore di una memoria. Certamente i primi scritti sono appassionanti. "I cammelli non sono per niente creature nobili" annuncia una inaspettata voce di ventitreenne in un reportage di Grotowski dall'Iran del 1956. "Sono creature dal mantello a ciuffi", dalle gobbe calve. "Scalciano, mordono, sputano, muovono contemporaneamente due zampe sullo stesso lato, per cui ondeggiano più forte degli aerei delle linee polacche". Per tutta la vita è stato un oratore eccezionale, severo e spiritoso, appassionato, ironico. Ritroviamo qualcosa di questo fascino consapevolmente usato nella scrittura giovanile: ogni articolo sembra un'arma conquistata, ogni battuta è la tappa di una strategia. La scelta di un reportage non può essere casuale, gli articoli polemici sembrano tutti attentamente meditati: "In questa situazione noi giovani artisti, noi artisti davvero giovani, proprio come allora, cinquant'anni fa, ma su scala più vasta e più giustamente, perché lottiamo per cause più importanti e più giuste, dovremmo sferrare l'attacco decisivo. Siamo numerosi! (
). Abbiamo qualcosa da dire, abbiamo molto da dire! Con la nostra giovinezza vogliamo plasmare il mondo, plasmare l'uomo. Abbiamo il coraggio di lottare con fervore e sincerità nel nome delle cause più grandi infatti solo le cause più grandi afferrano il nostro cuore in nome della rivoluzione, dell'eroismo, dell'onore e dell'amore, in nome dell'umanesimo socialista. Portiamo nei nostri cuori una visione, il sogno reale della nostra arte". È il 1955. Anche il tono di questo elogio dell'entusiasmo giovanile è sorprendente, tanto più perché tra pochissimi anni il regista sceglierà piuttosto una precoce, ironica maschera da "vecchio Lama", come appare dalla corrispondenza con il quasi coetaneo Eugenio Barba. Sorprendente e non casuale: risveglia le nostre domande. Dello stesso periodo (tra il 1955 e il 1957) è un piccolo gruppo di scritti strettamente politici, definiti dai curatori una piccola rivelazione. Una rivelazione in cui noi lettori ci muoviamo però con impaccio. La raccolta "si propone di rendere disponibili i testi di Grotowksi nella forma più diretta e accessibile", scrivono i curatori dell'edizione italiana, Carla Pollastrelli, Mario Biagini e Thomas Richard (l'edizione polacca del 2012 segue criteri identici). "Pertanto l'apparato critico è ridotto al minimo". Il problema sta nel "pertanto". Certo, costruire una guida per orientarci nei labirinti delle sottigliezze della parola scritta in Polonia, dei depistaggi politici, delle allusioni, degli accenni, delle sfumature politiche dei giornali e delle fisionomie dei giornalisti sarebbe stato un lavoro enorme. E invece è importante leggere le parole di Grotowski ora, non tra cinquant'anni. Siamo grati a Carla Pollastrelli e ai suoi compagni di avventura nel lungo viaggio verso l'edizione polacca e verso questa, benemerita, italiana. Però, va anche detto: è un gran peccato. L'elogio dell'entusiasmo mostra quanto sia difficile destreggiarsi senza aiuto tra i molti sensi possibili di dichiarazioni di fede socialista in un paese alle soglie di una rivolta di cui Grotowski sarà un protagonista. Quelle che mancano non sono le informazioni, sono le relazioni. In una intervista successiva, del 1964, Grotowski annuncia che cinema e televisione sono "arte per giorni feriali", mentre le possibilità di una vita futura per il teatro riposano sulla sua capacità di diventare "arte 'elitaria', 'festiva'. Perché il teatro è l'ora dell'inquietudine. È arte che non teme di essere difficile, dialogo filosofico tra attore e spettatore, arte dell'essenziale, organica. Le sue forme sono scolpite nell'organismo umano, in muscoli, nervi e voce. Arte estrema, scandalo tecnico ed esistenziale insieme. Il teatro come ora dell'inquietudine, la necessità di un "attacco decisivo" da parte dei giovani artisti, il momento della passione politica: un triangolo sull'estremismo su cui sarebbe fondamentale avere qualche dato in più, non solo supposizioni. Vista anche l'influenza che l'abbandono delle scene da parte dei Grotowski al culmine della fama ha avuto sul modo stesso di pensare il teatro. Le parole del maestro sono importanti. Al lettore, però, proprio per questo resta il desiderio, forse anche un po' il diritto, di sapere di più. Mirella Schino
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