Quando Paolo Zanotti è morto, nel dicembre 2012, a soli quarantun anni, la sua scomparsa ha lasciato un rimpianto amaro non solo in tutti quelli che lo avevano conosciuto di persona, ma anche nei tanti lettori che avevano imparato a amare i suoi scritti: i racconti pubblicati su rivista, il suo primo romanzo, Bambini bonsai (Ponte alle Grazie, 2009), che l'ha imposto all'attenzione di pubblico e critica come una delle voci più originali e importanti della narrativa contemporanea, i molti saggi sulla letteratura per ragazzi, la narrativa contemporanea, la storia dell'identità omosessuale. Rimpianto per i libri e i racconti che Zanotti non ci avrebbe più regalato, per quel mondo fantastico e bizzarro in cui le sue pagine non mancavano mai di trascinare il lettore, per quella che è apparsa quasi come una promessa non mantenuta ("Una grande promessa della letteratura italiana" l'aveva definito Gabriele Pedullà). Invece il proverbiale cassetto che non manca mai nella casa di uno scrittore ci ha riservato un dono insperato, un romanzo bellissimo che Zanotti aveva scritto ormai dieci anni fa, e mai pubblicato per uno di quei misteri inesplicabili che affliggono le logiche editoriali in Italia. È difficile parlare di romanzo postumo, ed è ancora più difficile presentare Zanotti a chi non l'ha mai letto: troppo atipico, enigmatico, fantastico, lieve e ironico al tempo stesso, troppo lontano insomma dai binari consueti del romanzo nostrano, in cui si faticherebbe a trovargli una collocazione. I paragoni per questo Testamento Disney, se proprio servono, vanno cercati altrove, in altri luoghi o altri tempi: tra Cortázar, Stevenson e Henry James, Landolfi e Calvino, Neil Gaiman e Thomas Pynchon, all'intersezione tra le galassie del neofantastico, del romanzo generazionale, del giallo metafisico. Il luogo è ancora Genova: non quella del futuro prossimo venturo di Bambini bonsai, ma una città misteriosa e inafferrabile, una stuntown, come la definisce il narratore, ossia una "città controfigura" a molte dimensioni, costruita con brandelli di realtà e di desiderio, più dosi massicce di immaginario mediatico: un po' isola del tesoro, un po' Topolinia e un po' Timbuctù, ma anche città neogotica e scenario posticcio da thriller all'americana. In questo universo instabile e continuamente cangiante, all'alba di un terzo millennio giunto a deludere le attese dei tanti apocalittici, si aggirano il protagonista, Simone-alias-Paperoga, e i suoi amici del Club Disney, adolescenti troppo cresciuti e piuttosto sfigati che cercano affannosamente di sfuggire alla "trentennificazione" rifugiandosi nel culto delle leggende metropolitane, delle teorie complottistiche e appunto dell'immaginario disneyano, in onore del quale hanno ribattezzato se stessi e i propri amici e conoscenti. C'è Eta Beta, detective privato in ciabatte e il leader del gruppo, nonché custode della mitologia ufficiale del Club affidata a un "Quaderno per il futuro montaggio" le cui perle di saggezza vengono a comporre una sorta di enciclopedia della cultura metropolitana underground; c'è Paperetta, l'enfant terrible del gruppo, testarda e indomabile; Gastone, quasi una parodia del perfetto maschio latino, penalizzato dall'essere forse troppo "normale"; e c'è Pluto, il più enigmatico membro del Club, che pare essersi adattato un po' troppo alla propria nuova identità canina. Ma Anna (alias Zenobia), la bella e misteriosa Anna, è scomparsa nel nulla dieci anni prima, lasciando Paperoga con il rimpianto di una storia d'amore mai vissuta: l'ha cercata la polizia, l'hanno cercata alacremente i membri del Club, l'ha cercata persino Chi l'ha visto?, che al Club ha dedicato una memorabile puntata (il cui racconto, satira beffarda dell'idiotizzazione mediatica, dà vita a alcune delle pagine più divertenti del romanzo). Ma una stuntown è anche una "città di apparizioni", dove nulla si perde davvero, semmai trasmuta, si camuffa: non c'è da stupirsi allora che anche Anna ricompaia trasformata lei stessa in un assurdo puzzle di leggende metropolitane: prima intravista nei panni della zingara ladra di bambini, fa capolino poi inspiegabilmente in spezzoni di vecchi film su videocassetta, forse invia messaggi attraverso il moltiplicarsi di notizie anomale nelle pagine di cronaca locale. Allucinazione o realtà? Le apparizioni e i segnali si infittiscono e il confine tra i due mondi diventa sempre più sbiadito, trascinando Paperoga in un incubo affannato alla ricerca di indizi, coincidenze, tracce che possano condurlo a ritrovare la ragazza perduta. Un universo seducente e inquietante, ricchissimo; una trama ricca di suspense, sempre ambiguamente in bilico tra il resoconto di una follia visionaria e lo svelamento di misteri banalmente atroci; il tutto condito da una scrittura generosa e raffinata, di rara potenza evocativa, da uno stile che trascorre sapientemente dal registro lirico al parodico, dal fiabesco al parlato quotidiano, da un senso del ritmo straordinario che rende la lettura quasi ipnotica. Un romanzo che il Paperoga nascosto in fondo a ognuno di noi non potrà fare a meno di amare. Simona Micali
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