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Compongono il «terzo paesaggio», secondo Gilles Clément, tutti i «luoghi abbandonati dall'uomo»: spazi interstiziali, frammentari, in cui vige una forma di vita improntata al bricolage. Non da oggi similmente funziona la scrittura poetica di Renata Morresi. Un piccolo folgorante libro di qualche anno fa, Bagnanti, è stato forse il modo migliore - obliquo e ironicamente allusivo - che la nostra letteratura abbia trovato, sino a oggi, per trattare quella che la doxa banalizza enfatica come «la tragedia dei migranti». E proprio una de-costruzione della formularità retorica del sistema dei media, «quella sì inscalfibile», operano qui le «Anti-sismiche». Compito arduo per un poeta, si concederà, venire al mondo a Recanati; e del terremoto, che due anni fa ha scosso questa terra, si ricorderà come fra gli epicentri fosse il paese di Visso, dove è conservato uno degli autografi dell'Infinito. Davvero una storia infinita è il massacro idrogeologico del nostro paese: e i poeti - da Zanzotto in poi - questa storia tremante l'hanno scritta sulla propria pelle, prima che sulla loro pagina. Anche in questa occasione i versi di Morresi fanno da antidoto alle «frasi […] prefabbricate» che al danno aggiungono la beffa. Lo straniamento tiene a bada la commozione e la pietà: come i «tubi / di impalcature» e il «nastro segnaletico con le barre / a strisce diagonali rosse e bianche» che, al modo della banderuola di Hölderlin, non cessa di «fischiare come carta velina» - «flap-flop, che al vento trema». E viene da tremare, proprio, di fronte allo sbriciolamento linguistico che, in forme diverse - ma devastanti, nella sezione eponima che mutua l'italiano freak dei traduttori automatici, mucillagine fermentante ricca e strana nella nostra posta d'ogni giorno -, si rivela lo stesso del nostro paesaggio: «la stessa patria, la stessa casa, lo stesso crac». Crac morale e materiale insieme, senza più freni, quello di una «patria» che abbatte i suoi ponti - e rialza i suoi muri.
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Dettagli

2019
20 maggio 2019
110 p.
9788884199751
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