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Il volume raccoglie cronologicamente buona parte degli interventi di Chomsky sulla questione palestinese lungo un arco di tempo che va dalla guerra del Golfo (1991) alla situazione odierna (l'ultimo intervento è del maggio 2002). L'analisi del linguista americano coglie innanzitutto la mutazione "semantica" subita dal conflitto israelo-palestinese con gli accordi di Oslo I e II (1993-95): la prosecuzione della guerra è diventata "processo di pace". Oslo ha burocratizzato il conflitto spostando il piano della violenza dalle armi convenzionali alla prassi burocratico-amministrativa del controllo del territorio. Nel momento in cui stabiliva per la prima volta l'Autonomia Oslo poneva le condizioni per eliminare ogni possibilità di crescita interna autonoma dei territori palestinesi. Il Protocollo da un lato ha mantenuto lo statu quo dell'occupazione e il controllo israeliano sull'economia palestinese sotto una veste legale facendo di Israele il solo partner economico della Anp dall'altro ha smantellato la rete di organizzazioni non governative sorta durante la prima Intifada riservando tutti i ruoli chiave al cosiddetto "partito dei tunisini". Se dunque le ragioni della seconda Intifada vanno ricercate nella fragilità intrinseca degli accordi di pace Chomsky non esita a puntare il dito contro le responsabilità della politica statunitense la quale sotto l'etichetta della "mediazione" ha continuato a condurre una politica di potenza dettata da ragioni geopolitiche ed economiche e per questo sopravvissuta intatta alla fine della guerra fredda.
Francesco Cassata
Muovendo dall'instaurazione del Nuovo ordine mondiale all'indomani della guerra del Golfo (1991), e transitando attraverso l'esame degli accordi di Oslo I e II (1993-95), Chomsky prende in considerazione le fondatezze delle speranze di pace affidate a politiche confliggenti con quella tensione diffusa sia nel mondo arabo che in quello israeliano, e occidentale più in generale. In tal senso denuncia il ruolo per niente mediatore degli Usa, la cui politica integra la questione palestinese in una più raffinata strategia di dominio globale che vede nei governi israeliani, con lievi sfumature secondo il colore politico, il «gendarme periferico», fedele alla stessa superpotenza.L'Intifada scoppiata nel 2000 e la recente escalation tesa allo sterminio «sempiterno» del problema palestinese viene colta in tutta la sua drammaticità, spiegando come la fragilità intrinseca degli accordi di pace abbia dilazionato nel tempo un conflitto inserito a tutto tondo e non casualmente nella nuova èra aperta dopo l'11 settembre con la campagna di terrorismo statuale contro le formazioni terroristiche e gli «stati fuorilegge». Numerosi i temi affrontati: lo stato palestinese diviso tra la striscia di Gaza e la Cisgiordania, l'annoso ritorno dei profughi palestinesi cacciati sin dal 1948 (e successivamente nei vari conflitti del 1967 e del 1973), il controllo delle risorse idriche, gli insediamenti coloniali privilegiati, la divisione di Gerusalemme come capitale di due stati.
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