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Premetto di aver letto l'edizione italiana (il libro era stato tradotto come "Il sesso del terrore"), acquistata a suo tempo nella sezione outlet e ora introvabile. In questo saggio, l'autrice traccia una cronaca dettagliata della conversazione collettiva portata avanti dai politici e dai media statunitensi dopo l'11 settembre, documentando la creazione di una narrazione che, per dare senso al trauma collettivo, riproponeva i miti fondati dell'immaginario collettivo americano. Questi miti, è la tesi, contengono un'essenzializzazione dei ruoli di genere e la loro riproposizione esasperata nella conversazione collettiva è stata una deliberata azione politica per indebolire le battaglie per la parità dei diritti, ponendole come antipatriottiche e anacronistiche a fronte della necessità della nazione di stringersi attorno alle qualità virili dei suoi eroi, forze dell'ordine, pompieri, governanti e soldati. Nella seconda parte del volume Faludi mette in relazione questo discorso con una narrazione analoga che si è sviluppata negli Stati Uniti durante le guerre contro gli indiani, mostrando la comunanza di miti e archetipi e la marginalizzazione dell'agency delle donne, della loro possibilità di essere agenti attivi piuttosto che vittime che hanno bisogno di essere salvate e metafore della nazione. Nonostante la ricchezza con cui Faludi analizza il discorso e la solidità argomentativa, non mi sento di dare un giudizio positivo proprio perché il libro non riesce ad andare oltre il suo oggetto per delineare una prospettiva più ampia, e il focus eccessivamente ristretto lo rende meno significativo di altre opere dell'autrice (penso a "Backlash", soprattutto), che hanno infatti mantenuto maggiore rilevanza nel corso degli anni.
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