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Il costituzionalismo contemporaneo senza dubbio ha decretato la definitiva archiviazione di buona parte della filosofia del diritto pubblico – e del diritto tout court – elaborata nel XIX secolo; eppure, a detta di molti la giurisdizione, pur avendone risentito, sembra al suo fondo ancora legata a quella filosofia e manifesti, perciò, un “statuto” incerto e ancora da definire. L’ipotesi che percorre l’intero volume è che tale stato di cose abbia un’origine storico-concettuale e derivi dalla difficoltà della teoria del diritto e dello Stato del secondo dopoguerra nel fare i conti fino in fondo con le novità del costituzionalismo contemporaneo e, in particolare, con quella che, sul piano dell’ordinamento dei poteri, maggiormente si distaccava rispetto al passato ovvero la giustizia costituzionale. Al centro dell’attenzione è stata posta, pertanto, la filosofia dei poteri pubblici propria dei giuristi della prima età repubblicana, nella convinzione che questa filosofia avrebbe alimentato una tal quale distonia di fondo. Nella esatta misura in cui si è aperta alle innovazioni introdotte dalla Parte I della Costituzione – interpretazione della legge e interpretazione costituzionale; diritto per regole e diritto per principi; diritti fondamentali vs. legislatore ordinario –, essa in misura altrettanto eguale avrebbe perpetuato una considerazione “vetero-positivistica” dell’apparato dei poteri pubblici, ove la giurisdizione – qualsiasi giurisdizione, anche quella novità rappresentata da una giurisdizione costituzionale – tendenzialmente è estranea ai circuiti di produzione dell’indirizzo politico e fatica a trovare un’identità teorico-costituzionale chiaramente contrapposta, ma altrettanto chiaramente coordinata rispetto a quella del legislatore democratico.
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