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Il teologo carolingio Giovanni Scoto Eriugena paragonava la teologia "a una poetessa che adopera invenzioni intellettuali per adattare la sacra Scrittura alla capacità dell'intelletto". E già in Platone dialettica e mito collaborano per esprimere le verità più profonde. Questo studio, unico nel suo genere, traccia, attraverso un esame di tutto il medioevo (a cominciare dall'epoca patristica e alto-medievale, oggetto di questo primo volume), la storia dei rapporti tra espressione poetica e ricerca teologica. Gli esordi della poesia cristiana coincidono con l'era costantiniana, anche se solo il calibrato connubio fra eleganza formale, profondità teologica e semplicità espressiva degli Inni di Ambrogio (385-386) trovò una formula adeguata alla vasta diffusione della poesia come mezzo espressivo dell'intelligenza di fede. Ambrogio si avvale di una "struttura semplice e insieme studiatissima", evitando concetti astratti e preferendo "immagini concrete e familiari all'ascoltatore", con un "simbolismo semplice e ben conosciuto: luce simbolo di Dio, la notte simbolo del peccato", ecc. e introducendo l' "elemento dottrinale con discrezione, spesso nella dossologia finale, e comunque limitato a concetti molto generali: unità e trinità di Dio, umanità e divinità di Cristo" (Simonetti). A partire dal IV secolo, la storia del rapporto poesia/teologia, che ha attraversato periodi anche estremanete drammatici e esclusioni irreversibili, è la storia della cultura occidentale, perché riassume in sé il crinale fra due atteggiamenti, estetico e gnoseologico, e fra due linguaggi, spesso considerati inconciliabili.
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