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Il tempio e il villaggio. La narrativa indo-inglese contemporanea e la tradizione britannica
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1978
1 gennaio 1978
278 p.
9788855514743

Voce della critica

PRASAD, M. (A CURA DI), Contemporary Indian-English Stories, Sterling, 1983

NARASIMHAIAH, C.D. (A CURA DI), Indian Literature of the Past Fifty Years, Prasaranga University of Mysore, 1970

NAIK, M.K. (A CURA DI), Raja Rao, Twayne, 1972

NAIK, M.K. (A CURA DI), Aspects of Indian Writing in English, Macmillan, 1979

JUSSAWALLA, ADIL (A CURA DI), New Writing in India, Penguin Books, 1974

HEMENWAY, S.I., The Novel of India, Writers' Workshop, 1975

ALBERTAZZI, SILVIA, Il tempio e il villaggio. La narrativa indo-inglese contemporanea e la tradizione britannica, Patron, 1978
recensione di Gorlier, C., L'Indice 1985, n. 5

Il poeta e critico indiano P. Lal ha coniato per gli scrittori indiani di lingua inglese la definizione "Alien insiders": grosso modo, lo straniero, o l'estraneo, di casa. Se l'inglese sia una lingua straniera in India è tuttora problema controverso, e Lal lo giudica uno pseudoproblema rispondendo decisamente di no. Sta di fatto che esistono letterature in lingue locali, dall'hindi al marathi o al kannada, in misura non indifferente. Quattro anni or sono a Bombay un giovane narratore marathi Vilas Sarang, mi spiego perentoriamente che la scelta dell'inglese è attardata e conservatrice, mentre una poetessa sua coetanea e tra le più significative del "new writing" indiano, Eunice De Souza, liquidò l'opinione di Sarang definendola "sciovinismo culturale''. Salman Rushdie, con il suo inglese così virtuosisticamente "ben scritto'' eppure gremito di lievitazioni indiane, rappresenta soltanto un terminale. Del resto, come ammonisce Prasad nella introduzione alla raccolta di racconti indiani di oggi, proprio in India trova inizio l'arte di raccontare.
Lal avverte però che lo scrittore indiano non può mai divorziare dai suoi miti, e chiede quindi al lettore almeno una disposizione alla complicità. Qual è la differenza tra Dharma e svadharma, tra avatara e incarnazione, quale la natura del moksha? Il letore non ha l'obbligo di saperlo, n‚ di adeguarsi alle mode spicciole dello yoga confezionato per stranieri. Tutto sommato, non esiste autentica dimensione mitico religiosa o rituale indiana all'infuori dell'lndia, del tempio sul fiume, delle processioni che si tuffano nei mare. Ma la letteratura indiana assorbe i suoi miti, ed allora si capisce quanto oziosa diventi l'elegia funebre cantata sul romanzo. Grazie a questi apporti, a queste correnti sotterranee, il romanzo acquista uno spessore e degli umori impossibili in Occidente.
Si tende ancora da parte di molta critica, e con qualche legittimità, a individuare in tre nomi il grande momento della narrativa indiana in lingua inglese: Mulk Raj Anand, nato nel 1905; R.K. Narayan, nato nel 1906, e Raja Rao, nato nel 1908 e da molti anni trasferitosi, specie di guru accademico, ad insegnare addirittura nel Texas; come si vede, personaggi ormai venerabili, anche se tuttaltro che spenti. Anand, militante indipendentista legato a Gandhi e a Nehru ma con un passato con influenze marxiste, rappresenta una fase sostanzialmente populistica e in qualche modo rivendicativa, con romanzi quali "Untouchable" (del '35), "Coolie" ('36), "The Private Life of an Indian Prince" ('53). Il socialismo urnanitario - per usare una generalizzazione approssimata - di Anand si è espresso in un paesaggio umano assai caratterizzato, con un antagonismo tra vittime, oppressori e candidi; in termini di scrittura, e anche se le giovani generazioni lo trovano datato e al fondo troppo ''leale'' nei confronti del modello linguistico inglese, egli ha infuso una sorta di scatto specie dialogico di matrice caratteristicamente indiana. All'emotività talora didattica di Anand corrisponde il basso profilo di Narayan, uno scrittore forse neutro linguisticamente ma di singolare limpidezza, capace di un singolare interscambio tra commedia e dramma solo in apparenza crepuscolare. Con Narayan la formula di Lal trova una verifica inoppugnabile: nei suoi romanzi-microcosmo, contrassegnati da una sorta di ripiegamento su un mondo indiano che tende a interrogarsi pur rifiutando bruschi cambiamenti e così a respingere le tentazioni occidentali, la mitologia indigena sostanzia dei codici estremamente sottili e ramificati. È il caso di "The Dark Room" ('38), che pone al suo centro il ruolo ambiguo e contraddittorio della donna in India, e di "The Man-Eater of Malgudi" ('61), con il trionfo emblematico di un eroe senza qualità.
Rao è probabilmente la figura di maggior spicco della letteratura indiana contemporanea, e anche il più coerente nel tentare una difficile sintesi tra la tradizione - a partire dal Ramayana - e la modernità. In "The Serpent and the Rope" ('60) questa sintesi, operata tra cadenze inglesi e ritmi di accedenza sanscrita, Rao pone a confronto India e Europa nella storia di un matrimonio misto, manovrando con straordinatia sottigliezza simboli, categorie filosofico religiose e storie private. Il precedente "Kanthapura" ('38), scritto tenendo in mente, in modo assai particolare, "Fontamara" di Silone, colloca in una piccola comunità una serie di accadimenti quotidiani con una forte carica simbolica e lirica in cui contemporaneità e passato atemporale si saldano e si scontrano.
Un panorama anche sommario non può ignorare qualche altro nome. Intanto, G.V. Desani, il più autentico innovatore tra i narratori indiani, autore di un solo ma notevolissimo romanzo, "All about H. Hatterr" ('48), lodato da T.S. Eliot, un "'caos creativo", un esempio di "linguaggio totale'', per usare il commento di Anthony Burgess: un picaresco indiano di ribalda ironia e di indifesa innocenza nel suo protagonista alla ricerca di una saggezza messa alla prova e scompaginata da uomini e circostanze. Davvero un libro chiave e di intenso divertimento. La tragedia della divisione dell'lndia con la nascita sanguinosa del Pakistan sostanzia uno dei romanzi più intensi e - è il caso di dirlo - sconvolgenti degli Anni Settanta, "Azadi" di Chaman Nahan: una vicenda costruita su un gruppo di storie familiari in cui il privato viene schiacciato e spesso fisicamente distrutto dagli sviluppi crudeli e insensati della storia. "Cry the Peacock" di Anita Desai, per rammentare soltanto una delle sue opere, apparso nel 1963, ha segnato una fase nuova nel romanzo indiano di lingua inglese, riportando situazioni e costanti ancestrali in un contesto moderno di alienazione, di vuoto, di morte. C'è da sperare che gli editori italiani, magari dopo aver drenato le marche della Mitteleuropa, si avvedano della ricchezza e della complessità della letteratura indiana, senza lasciarsi ipnotizzare soltanto dal cavallo vincente Rushdie.

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