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Ultimo titolo della trilogia Algeria, i cui due precedente volumi sono La casa grande (Epoché, 2004) e L'incendio (Epoché, 2004), Il telaio completa il lungo romanzo di formazione di un paese, a opera del capostipite della letteratura algerina in lingua francese. L'Algeria prerivoluzionaria è qui narrata e descritta attraverso l'esperienza di Omar, un ragazzino che impara, guidato dal saggio Ocacha, a non cedere alla violenza in nome della libertà. Giovane apprendista in un laboratorio tessile, Omar abbandona la luce e i rumori della città per scendere in un sotterraneo buio, in cui tutto è ovattato e filtrato dall'esile raggio che penetra, timidamente, da un'unica finestra sulla volta. Qui, in mezzo al brusio dei telai, emergono poco per volta le storie di uomini disperati, inchiodati all'aspo per impossibilità di scelta e legati per sempre, pare, a quella vita miserabile: le discussioni si snodano come su un telaio, tra chi invoca Dio e chi provoca con violenza, chi subisce quella maledizione e quasi mostra la sua accettazione attraverso la propria malformazione fisica, chi riflette e tace e cerca altri modi per comunicare. Omar, il più giovane, ascolta, e viene infilato nelle discussioni e nelle aspre liti quasi come un filo, l'ultimo filo, guidato su una trama già ordita: ma a poco a poco, durante i suoi tè con Ocacha, Omar impara a indirizzare da sé il proprio filo, all'interno di un disegno di cui è egli stesso il creatore. Il suo spaesamento di fronte alle diverse reazioni dei compagni di laboratorio si trasforma così in consapevolezza delle difficoltà del suo popolo, ma anche nella decisione di rifiutare una vendetta violenta: come uno specchio della situazione del suo paese, si aggira per le strade un fiume di mendicanti, una corrente che si snoda nelle strade e nei vicoli, silenziosa ma incontenibile, estremamente potente nel suo camminare in punta di piedi. Mohammed Dib, che lavorò come disegnatore di modelli di tappeti, esprime con uno stile fortemente evocativo una realtà conosciuta e vissuta: il laboratorio sotterraneo è immerso in un'umidità quasi tangibile, insieme alle tensioni, alle discussioni e alle parole sussurrate e gridate, che rimbombano nella penombra e diventano concrete nella loro intensità. L'acqua e la nebbiolina che rendono labili i contorni accompagnano il turbamento nell'anima di Omar, mentre il cielo terso e la luce del sole estivo esprimono la chiarezza che nasce in lui: come in un romanzo del Romanticismo, l'intimità si riflette sul mondo esterno, non solo in uno specchio ma in una goccia d'acqua, una lente che amplia, rafforza e rende reali i moti dell'anima. Francesca Ferrua
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