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Anno edizione: 2016
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Vengono in mente gli epigrammi di Marziale o le mini-satire di Giovenale, senza però le torbide situazioni ivi descritte, bensì qui narrati con sottile ironia. Una lunga teoria di mini-inediti, ben 496, di cui 228 nella prima parte (Solo per Underwood, ambientati in Russia) il rimanente nella parte seconda (Solo per IBM) in gran parte riferiti agli States dove Dovlatov era emigrato. Alcune battute sono delle vere perle. La 345: “Il livello della mia fama letteraria è tale che, quando mi conoscono, mi stupisco, e anche quando non mi conoscono mi stupisco. Così sulla mi faccia c’è un perenne stupore”. O la 195: “Due cartelli vicini in autostrada: Il primo “Raggiungeremo e sorpasseremo l’America”; il secondo “Non fare sorpassi avventati”. La 385: “La genialità parrebbe una cosa così vistosa, ma non la si riconosce subito. La nullità, invece, sprizza proprio da tutti i pori”. C’è un problema, però, per chi non è buon conoscitore della letteratura e della storia russa: gli aneddoti sono in gran parte ben poco comprensibili. Così i curatori di questa edizione hanno avuto una brillante idea: alla fine del testo di Dovlatov hanno aggiunto (in caratteri minuti e compattati) quasi lo stesso numero di aforismi (493), spiegando uno per uno gli originali precedenti. Peccato che il lettore non sia stato avvisato in precedenza, così si trova a dover rileggere il tutto se vuole decodificare quanto non gli è riuscito di comprendere. Purtuttavia questo testo di Dovlatov è prezioso ed è un vademecum per chi vuole addentrarsi nei segreti della letteratura russa, qui abbracciata su un arco di parecchi decenni (da Anna Achmatova a Iosif Brodskij, cui l’autore dedica più di sette pagine di aforismi).
Esilio e rivolta, la febbre di respiri affannosi e la libertà di rovesciarla in prosa necessaria. Parabola bellissima degli uomini che giocano di sponda. Ma chi sono? Artisti o principianti di genio, sognatori o rozzi romantici a spingere il loro aratro zeppo di stelle nel solco di un potere che offre soltanto frutti senza vita, zucche labili, cattiveria boriosa, marciume e cenere. Straccio e stemma si equivalgono, misura ed eccesso trovano risate comuni, e ogni zolla apparentemente sterile diventa, nello sguardo del poeta, la prova che ogni regime si può aggirare e irridere nel vento di sillabe incontrollabili, magnifiche, alte sopra ogni zotico controllo. Un rigo appena può servire in due modi: stendere al suolo - come un colpo di lama - le ridicolaggini e le buffonerie di linguaggi insensati e insieme appenderle - come fra due mollette - al cielo delle proprie risposte, mai banali o stantie, ma sempre fiere della propria vasta, infinita ristrettezza, il limite che sa spingersi oltre se stesso grazie alla forza di dentro che un artista sa scovare, flettere, donare al mondo della parola. Ferirsi nel sorriso da accusati mentre si è feriti dal dolore degli accusatori, gesto di rara bravura, le trame del fuori ammaestrate dalle invettive del dentro. Tutto questo cola da questa gemma autentica come a salvarci da orizzonti più piatti, e urlandoci con dolcezza claudicante le migliori parole che un poeta possa dispensare: quelle del suo essere immacolato.
Ironia e disperazione, anarchia e mondi che impodono, tra il socialismo reale e stupido e il capitalismo selvaggio ( altrettanto stupido). Linee guida essenziali: un humor nero che non riesce mai ad essere macabro...Straconsigliato, per farla breve: un piccolo gioiello. Astenersi gli astemi, se non per convertirsi.
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