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Nel 1946 Simon Wiesenthal, destinato a diventare uno dei più noti “cacciatori di nazisti”, durante il lungo dibattimento del processo di Norimberga, quello intentato dagli Alleati contro i maggiori leaders del nazismo, fu contattato da un ex appartenente del servizio informazioni militare tedesco che gli rivelò l’esistenza dell’Odessa, oscura quanto segreta organizzazione il cui scopo era quello di agevolare la fuga dei nazisti e di ricostituire, nella clandestinità, il Reich germanico. Da allora è passato mezzo secolo e si sono moltiplicate le informazioni sull’Odessa, presenti in saggi, articoli, romanzi e film, dandone per scontata l’esistenza o amplificandone il ruolo. Una proliferazione di interpretazioni così ampia, quanto frammentaria, da rendere difficile la distinzione fra il vero, il verosimile, e l’onesta fiducia nel credere a qualcosa che appaghi la propria visione della storia. Il caso dei falsi diari di Hitler, accaduto ai primi degli anni Ottanta, è emblematico in tal senso; una grande rivista come Stern sborsò più di nove milioni di Marchi di allora per acquistare una serie di diari palesemente e ingenuamente falsi. Non pochi furono storici e giornalisti che, inizialmente, caddero nell’inganno accettando per veri una serie di quaderni dalla copertina nera, vergati con antiquata calligrafia e zeppi di ovvietà, perché volevano credere, secondo le proprie aspettative, a nuove possibili interpretazioni del nazismo e di Hitler. Il credere in buona fede, su questo non dubiteremo mai, a tutte le informazioni sull’Odessa potrebbe essere qualcosa di analogo a quanto è accaduto per i falsi diari di Hitler. Infatti, la storia dell’Odessa conduce verso un universo sommerso di mezze verità, in cui la scarsità di documenti diretti, un verbale, un elenco di appartenenti, o altro di simile, come pure di testimonianze comprovate, è equilibrata da un’ampia produzione letteraria, spesso redatta da personaggi degni di massimo rispetto, in cui l’esistenza dell’Odessa è data per certa. Perciò attraverso incong
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