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Savona, 04-05-03 Cinema e psicologia hanno avuto fin dai tempi di Freud un trascorso meno difficile rispetto alla relazione che il cinema ha tenuto con la psicoanalisi. Ciò è dovuto all’operare di un malinteso sulla natura più profonda delle due discipline. Da una parte la psicanalisi, essen-zialmente laica e aperta alle istanze culturali e artistiche più moder-ne, dall’altra la psicologia amante dei mali sanabili, definibili, rimo-vibili in forme nuove con un’opportuna tecnica terapeutica di lavoro sull’Io. La psicanalisi è stata scambiata da molti intellettuali, già all’epoca di Freud, come una materia chiusa dedicata prevalentemen-te al patologico. Pochi hanno intravisto la sua vera portata culturale, che è più estesa di quanto si potesse immaginare e va oltre ogni con-fine di ricerca precostituito. Spesso la psicanalisi è stata intesa, anche da alcuni intellettuali e artisti, come una particolare psicologia. In questo famoso libro di Malraux del 1939 intitolato “Sul cinema: appunti per una psicologia”, riproposto dall’editore Medusa in un gra-zioso formato tascabile, l’autore riesce a rendere chiaro, grazie alla sua capacità comunicativa, come il “movimento dell’immagine”, es-senza psicologica e tecnica del cinematografo, sia frutto di un’evoluzione della ricerca pittorica moderna iniziata a partire in particolare dalle opere di Rubens. Significativo a proposito un passo del libro che dà un’efficace sintesi sul contesto artistico (il “barocco”) che muove i primi passi verso il ci-nema: “[…] Mentre si prepara segretamente il fiorire della pittura moderna, le ricerche di rappresentazione si pietrificano in un’ansia delirante e serrata di movimento”. L’arte cinematografica consente l’espressione di rappresentazioni creative la cui fonte misteriosa ed enigmatica sembra riproporre il tema relativo al lavoro dell’inconscio. Il titolo “Sul cinema: appunti per una psicologia” appare perciò nella sua seconda parte un po’ ve-tusto. In particolare per quel che riguarda un versante più semiologi-co
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