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Si legge bene il racconto di Giulio Laurenti, così bene che chi non fosse informato della reale esistenza di Ilàn Fernandez e del logo, da lui creato DePutaMadre69 potrebbe pensare che la confessione autobiografica sia tutta una fiction allo stato puro. Mi è venuto molto da pensare, mentre leggevo questa storia, al romanzo dello spagnolo Arturo Perez Reverte, La regina del Sud, che racconta la storia di un'intrepida narcotrafficante e delle sue molte vite (della sua capacità di sopravvivere alle avversità e di rigenerarsi): anche questo costruito come "docufiction" cioè con continui riferimenti a fatti di cronaca e con spezzoni di interviste, mentre è in realtà tutto inventato). La storia di Ilàn Fernandez è costruita in modo davvero splendido, poichè lo scrittore ha rifuggito dalla tentazione di procedere in via cronologica, ma ci ha dato la rappresentazione della vita di Ilàm Fernandez attraverso un gioco di incastri e continui flashback and flashforward, che realizzano un complesso intreccio tra passato e presente con qualche sprazzo di vision sul futuro di quest'uomo, l'ex-narcos Pablo, che ha saputo ricostruirsi, senza abbandonare le sue idee (tra cui quella che il destino di uomo sia "segnato" e che - prima o poi - il suo corpo accoglierà una pallottola, "l'unico gioiello che ha per custodia la carne umana", o senza mettere da parte il suo stile imprenditoriale da narcotrafficante che ha semplicemente piegato duttilmente alle esigenze commerciali della sua nuova condizione di stilista, non tralasciando le sue radici e il senso genealogico dell'appartenenza (ad esempio, sono grandiose le citazioni del fraseggiare di "Nonno Jack", in alcuni casi autentiche perle di saggezza o a volte espressione di un modo di affrontare la vita cinico, per quanto realista). Si comprende bene che l'ex-narcos è rimasto con il suo modo di affrontare il mondo, con la capacità di ragionare in grande, con la disponibilità di "rischiare" pur di allargare i profitti della sua impresa, pur se adesso con un abito totalmente nuovo.
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